La costruzione del “noi” richiede la presenza di opportunità quotidiane per sperimentarsi come persone in ruoli di cittadinanza. Ma in quali luoghi abbiamo l’occasione di sperimentare questa opportunità? Eppure, il benessere delle persone e la coesione sociale si costruiscono non solo o non tanto sulla base di valori comuni, ma grazie alla presenza di spazi pubblici condivisi – luoghi terzi, oltre a quelli tradizionali del produrre e dell’abitare. È l’organizzazione spaziale della vita quotidiana a qualificare le nostre opportunità di cittadinanza.
Quando e dove ci sentiamo parte di qualcosa di collettivo? Esistono spazi condivisi all’interno dei quali i problemi e i bisogni individuali qui e ora diventano soluzioni collettive proiettate nel futuro? La priorità per una classe dirigente all’altezza dei tempi dovrebbe oggi essere questa. Impegnarsi per ricostruire spazi, luoghi e modalità per sperimentare in modo pratico la capacità di aspirare a un futuro condiviso.
Insieme a Filippo Barbera* ci interrogheremo sulla possibilità di esercitare la cittadinanza in presenza di luoghi intermedi, una volta tipici delle fabbriche e della solidarietà di classe, oggi diffusi e radicati nei territori, dalle periferie alle aree interne, nei luoghi dello sfruttamento e in quelli dell’innovazione sociale, dalle nuove strutture associative a ciò che resta di quelle tradizionali, ma anche nei luoghi della produzione della riproduzione sociale. Fino ai luoghi attrezzati per la selezione della classe politica, la rappresentanza e l’intermediazione: partiti, centri studi, sindacati, organizzazioni. Tessendo reti e legami tra la coscienza di classe e la coscienza di luogo, tra i meccanismi di produzione del valore e le forme dell’appartenenza al “terrestre”.
*Filippo Barbera è Professore di sociologia economica e del lavoro presso il Dipartimento CPS dell’Università di Torino e fellow presso il Collegio Carlo Alberto. Si occupa di innovazione sociale, economia fondamentale e sviluppo delle aree marginalizzate. Tra le sue recenti pubblicazioni, ricordiamo: Contro i borghi (a cura di, con D. Cersosimo e A. De Rossi, Donzelli, 2022), Le piazza vuote (Laterza, 2023). È membro dell’assemblea del Forum Diseguaglianze e Diversità; scrive per Il Manifesto.
Immagine di copertina: Yorgos Sapountzis, “Soft World-Hard World”, performance-installazione, in “Common Spaces”, ISP Whitney Museum, 2014, The Kitchen, New Yor
1. Il modello di società neoliberale si è mangiato lo spazio pubblico
La tesi di Filippo Barbera è che «il modello neoliberale si è mangiato lo spazio pubblico», un modello di società dove lo Stato è finalizzato a preservare i «meccanismi di accumulazione del capitale», a scapito di ogni pressione democratica nella configurazione della vita sociale. La nostra società, tra globalizzazione e svolta digitale, è segnata da un profondo processo di recessione sociale: quel che viene meno è proprio l’importanza dello spazio fisico dell’interazione per la costruzione stessa della reciprocità – di un “noi”, appunto.
Ma se lo spazio fisico che è alla radice dell’interazione faccia a faccia mediata dalla corporeità – siamo corpi in azione nello spazio – viene meno, la sua rarefazione quali conseguenze produce nella configurazione dello spazio pubblico? E, soprattutto, quali conseguenze ha nella costruzione di un “noi”, inteso come intenzionalità collettiva, orientata a realizzare uno stato futuro del mondo più giusto?
Nella realtà a più livelli dello spazio pubblico – dalla banalità della vita quotidiana agli spazi intermedi dell’elaborazione politica e agli spazi dei luoghi di vita – il modello neoliberale di società è un modello privo di futuro, che non ammette una discontinuità radicale con il presente. In mancanza di una “promessa di futuro”, dell’“impegno” cioè verso una progettualità comune, per «soddisfare non solo un bisogno materiale per mema anche una soluzione collettiva connessa a un’idea di giustizia sociale per noi», come è possibile “abilitare” la realizzazione di un “noi”?
Ma di un “noi” il cui senso di appartenenza, radicato nei luoghi di vita, costitutivo della nostra esistenza, non si risolva nella chiusura rispetto all’“altro”, ma in un potenziale «intreccio di radici», e cioè nella realizzazione di quello che la filosofia politica chiama «cosmopolitismo radicato o parziale», aperto a una soluzione collettiva dei problemi urgenti della società attuale.
(1, continua)
2. Approccio agro-ecologico alla politica e il tema dell’intermediazione
Non c’è più tempo. Le sfide sociali sono di una tale drammaticità, da far sentire ancor più l’urgenza di un’azione politica che manca. In assenza di iniziativa politica e in un contesto di scarsità di risorse, Filippo Barbera propone un approccio agro-ecologico alla politica: ripristinare i ricostituenti fondamentali del “terreno di cultura” dell’agire collettivo, distrutto da decenni di politica neoliberale.
Ci sono esempi che già vanno nella direzione di un’apertura cosmopolita di aree interne locali, di rioccupazione degli spazi pubblici della vita quotidiana e ancora di re-intermediazione della politica. E anche, nella ripresa della formula dell’auto-organizzazione sociale, come possibile via di uscita, in una prospettiva di futuro diverso.
Il fenomeno dell’auto-organizzazione si trova ad affrontare, secondo Filippo Barbera, il problema della rappresentanza, dell’intermediazione politica. O, meglio, il problema di come un fermento sociale di auto-organizzazione possa essere in grado esercitare un’influenza, diretta o indiretta, sulla politica istituzionale.
Problema non è di facile soluzione. Perché appunto la sordità della politica è oggi l’esito di un processo in cui «i partiti sono diventati dei gruppi di potere dentro le maglie dello Stato», la cui riproduzione non si realizza più attraverso la tradizionale “nicchia ecologia” del consenso sociale, ma attraverso la “nicchia ecologica” dello Stato, la cui prassi è rispondere a gruppi di potere. Rispondere a chi ha più voce, di tipo simbolico o materiale, invece che a interessi sociali, a interessi collettivi.
(2, continua)