Di fronte al cambiamento di paradigma imposto dal degradarsi degli equilibri di Gaia, emergono nuove modalità di approccio sociale, politico e persino ontologico per far fronte ad una situazione senza precedenti né geologici né storici. Nel campo del “new materialism”, Donna Haraway usa il termine Fabulazione Speculativa per circoscrivere il nuovo campo dell’immaginario del secolo che inaugura il nuovo millennio. A sua volta, Karen Barad, teorica e fisica americana, ispirandosi alla filosofia-fisica di Niels Bohr, costruisce addirittura un’onto-epistemologia quantistica fondata sull’intreccio indissolubile (entanglement) di spazio, tempo, materia e significato (spacetimemattering,matter and meaning). Le due posizioni teoriche sono un tentativo di uscire dalla visione liberal-newtoniana secondo cui l’umano è l’agente dominante in una realtà costituita da una “natura” al suo servizio e da una materia inerte.
Nel suo ultimo lavoro Giorgio Griziotti* ha preso a prestito il termine di Donna Haraway ed alcuni concetti di Karen Barad per svolgere un racconto speculativo, condotto dal Boomernauta, un “personaggio concettuale” à la Gilles Deleuze, che, come scrive Emanuele Leonardi nella sua recensione, “adotta la modalità di un flusso narrativo di liberazione immaginifica per aprire la giustizia climatica alla sua propria futuribilità, che, per il momento, la forma-saggio non è ancora riuscita a esplorare”.
L’incontro con Giorgio Griziotti, quindi, si concentrerà su queste tematiche, con l’intento di porre le basi per avviare una discussione su due argomenti strettamente connessi:
– l’imperativo urgente di costruire il quadro materiale e discorsivo di una rivoluzione che vada oltre i limiti concettuali di quelle del XX secolo. Questa visione non dovrebbe solo mirare al superamento del capitalismo, ma anche coinvolgere le componenti di Gaia, riconoscendo la sua complessità e le patologie che la affliggono.
– la ricerca di nuove modalità di scrittura e in generale di espressione per tentare di liberare l’immaginario dalla tenaglia individualista in cui è stato saldamente imprigionato.
* Giorgio Griziotti, è stato uno dei primi ingegneri informatici usciti dal Politecnico di Milano. Ha acquisito in seguito una lunga esperienza nel campo delle TIC (Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione). La sua partecipazione al movimento autonomo italiano negli anni Settanta lo ha posto nella condizione di svolgere gran parte della sua attività professionale all’estero. I suoi più recenti saggi sono apparsi nelle opere collettive: Creative Capitalism, Multitudinous Creativity, Lexington Book, Londra, 2015, La Moneta del Comune, Alfabeta2-Derive&Approdi, Roma, 2015. È autore di Cronache del boomernauta. Gaia e le metatecniche selvagge. Fabulazione speculativa ecologica (Mimesis Edizioni, Milano, 2023) e Neurocapitalismo. Mediazioni tecnologiche e linee di fuga (Mimesis Edizioni, Milano, 2016). È uno degli animatori del collettivo internazionale “Effimera”.
Per saperne di più qui: https://www.mimesisedizioni.it/libro/9791222304236
1. In viaggio con il Boomernauta: tra distopia del presente e rivoluzione dell’immaginario
Perché è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo? Così, almeno, secondo la nota provocazione attribuita a Frederic Jameson, e resa famosa da Mark Fisher. Davvero, il sistema esistente, il capitalismo – il cui effetto di realtà sul mondo del vivente, sulla sua riproduzione materiale, non consente di immaginare un’alternativa – è il solo orizzonte di senso possibile entro cui pensare la convivenza?
Cosa succede se al presente si applica un processo potente di immaginazione? A introdurci in questa dimensione immaginativa, il Boomernauta, un viaggiatore del tempo, proiettato nel futuro da un anatema (“Ok boomer!”) lanciato da un “strega millennial”. E grazie al resoconto – una fabula speculativa, termine preso in prestito da Donna Haraway – di un viaggio futuribile, che ne ha fatto a tavola Giorgio Griziotti, è stato possibile gettare uno sguardo su scenari di un futuro distopico che è già il nostro presente: il governo tecnocratico del mondo (la «governance quantistica»), la catastrofe ecologica della biosfera (la «setticemia di Gaia») e l’attivismo resistente di movimenti dal basso (la «sfera autonoma»).
Di fronte a questo scenario di crisi, quale rivoluzione serve? Quale “realtà alternativa” è possibile far emergere a partire dall’esplorazione di «nuovi materialismi» – quale è, ad esempio, l’interpretazione di Karen Barad della fisica quantistica? A partire, cioè, da un nuovo “immaginario”, che ci abiliti a pensare, in chiave non antropocentrica, la condizione di possibilità, l’interfaccia, che connette “umano” e “non-umano”, “vivente” e “non-vivente”, a pensare cioè la materialità della convivenza, dell’interdipendenza reciproca, che a sua volta è ciò che ci abilita a stare in un mondo.
(1, continua)
2. Lavorare sull’immaginario: ascoltare le capacità del vivente, rientrare in Gaia
Perché «lavorare sull’immaginario»? Perché «ancora non siamo stati capaci – dice Giorgio Griziotti –, dal punto di vista razionale, di trovare una visione, una futuribilità, della giustizia climatica» e, più semplicemente, della crisi ecologica. E ancor più perché è in atto una totale occupazione dell’immaginario, tramite mediazione tecnologica, ad opera di un capitalismo – il neurocapitalismo – che, mentre ci alletta con i suoi dispositivi di cattura cognitiva ed esistenziale in una logica consumistica di messa a valore della vita, nella sua ossessione per la crescita illimitata, ci espone alla visione di un futuro – “che altri stanno immaginando per noi” – che si consuma nella sua stessa potenza autodistruttiva.
Di fronte al disastro ambientale incombente, di quale «nuova base teorica», da costruire, abbiamo allora bisogno? Per Giorgio Griziotti, serve un cambio di paradigma, una rivoluzione culturale. Senza però rinunciare alla dimensione materiale della lotta, alla centralità del conflitto sociale, occorre allargare il senso della “realtà”: occorre ricomprendere il conflitto di classe – e in genere il tema dell’oppressione delle classi subalterne – entro la più ampia dinamica di integrazione del vivente, entro il sistema interconnesso dell’“accadere” di Gaia.
A tutto ciò c’è però una problematica sottesa: la capacità del sistema capitalistico di assumere una natura dinamica e mutevole, di inglobare nella sua struttura la “fluidità”, una capacità di adattarsi e di evolversi nel tempo, e di “sussumere” a livello ideologico la messa in discussione dell’idea stessa di una verità, di una significazione della realtà, stabile e definita. In altre parole, se è vero che «il discorso sulla “lotta di classe” non funziona più», altrettanto per le nuove istanze di emancipazione – come le ”guerre culturali” sulle tematiche dei diversi regimi di oppressione di soggetti subalterni (per condizione di appartenenza di genere, orientamento sessuale, razzializzata, abilità psico-fisica, retroterra socio-economico o altro ancora) – c’è il rischio che esse possono essere neutralizzate, piegate a semplici rivendicazioni etico-culturali, in una logica di frammentazione, su base identitaria, di un possibile soggetto antagonista. (Vedi Cena N. 102, Guerre culturali e neoliberismo – con Mimmo Cangiano, qui o qui)
Insomma, la radicalità dell’incertezza, la perdita di centralità del nostro stare al mondo, con cui stiamo imparando a vivere, è il segno di una nostra implicazione dinamica con il mondo stesso. Ed è conforme, in un suo impiego forse non solo metaforico, al principio di indeterminazione di Heisenberg, della fisica quantistica, per cui la scoperta che essere implicati nella processualità delle connessioni del mondo significa indagare, disporsi ad «ascoltare le capacità del vivente», a «rientrare nel sistema vivente di Gaia», diviene la condizione per attivare un immaginario non più antropocentrico. Per un futuro diverso, perché ne va di un mondo il cui collasso è evitabile, a condizione di porre fine, questa sì auspicabile, alla dismisura prometeica degli attuali esiti della civilizzazione umana.
(2, continua)
3. Memorie del passato e nuova storia per scongiurare la catastrofe
Nel contesto attuale, caratterizzato da un’incertezza globale, la memoria storica può sfuggire al “mal d’archivio”, al delirio di archiviazione di dati, così pervasivo da essere paralizzante, da non risparmiare neppure il passato recente? Che ne è del Novecento, con le sue tragedie, le sue conquiste e le sue illusioni? Un recupero sterile del passato o una ripresa creativa, per il presente?
L’assenza di alternative, oggi, e nel declino dell’immaginario collettivo, sembra riflettersi in un estetica museale – “una bella teca” – per un passato, la cui funzione finisce per avere l’effetto di una paralisi ideologica o, al più, quello retorico di una passiva nostalgia. Questa operazione – per Giorgio Griziotti – rinvia, al di là del contesto politico italiano, a un fallimento culturale e politico più profondo: l’incapacità teorica e pratica del nostro immaginario nello scongiurare la catastrofe del nostro tempo, di cui «la morte della sinistra» è solo un’espressione.
Di fronte alla perdita di una spinta progressiva del capitalismo, e di conseguenza del sistema educativo, quale alternativa è offerta al venir meno di un processo di partecipazione consapevole alla cittadinanza, se non quella di un forzato ripiegamento nell’individualismo? E soprattutto per i giovani. La memoria del ’68 e degli anni Settanta, ultimo grande tentativo di rivoluzione mondiale, culturale e sociale, nonostante la sconfitta, cosa ci insegna invece sulla possibilità di un cambiamento?
Tuttavia, oggi, tutto sembra congiurare contro una nuova spinta trasformativa. Alla paralisi politica, in un declino, forse non più scongiurabile, dell’Occidente, nel corso di una crisi globale climatica, per Giorgio Griziotti, è necessario non rinunciare a fornire una risposta: riuscire a superare gli schemi del passato e promuovere la costruzione di una nuova teoria. Anzi, di una nuova storia, caratterizzata dalla presenza, finora non considerata, inedita, di tutti i soggetti e le entità del sistema vivente.
(3, continua)
4. Oltre l’individualismo, un nuovo immaginario sull’«esistere in relazione»
L’analisi teorica di Karl Marx è ancora in grado di mantenere tutta la sua forza interpretativa della società capitalistica, ormai del tutto globalizzata?* In un contesto dove tutto appare fluido e frammentato, il ricorso a categorie marxiane può per le giovani generazioni rispondere al bisogno di avere un riferimento teorico per comprendere un mondo sull’orlo della catastrofe? Di quale attrezzatura teorica c’è bisogno come possibile “via di uscita” dal senso di spaesamento, dall’illusoria promessa della realizzazione personale, con tutta la sua enfasi sulla responsabilità individuale, offerta dal neoliberismo?
Il concetto stesso di “classe”, un tempo fondamentale per comprendere i rapporti sociali, oggi sembra essere uno strumento inutilizzabile. Le nuove figure del lavoro, come il rider o il freelance, figure del lavoratore isolato, la cui connessione è delegata a piattaforme digitali secondo logiche di precarietà lavorativa, come possono dare vita a forme di lotta più ampia, comune? Questa mancanza di unitarietà spiega forse il fallimento di molte mobilitazioni recenti, da Occupy alla Primavera Araba: eventi di grande impatto, ma senza una teoria e una strategia in grado di durare nel tempo.
In questo scenario, come uscire dalla generale tendenza sociale dell’individualismo, della performance individuale – una vera e propria costruzione dell’«immaginario sociale», interno alle dinamiche neoliberiste? Individualismo, che la stessa modalità comunicativa dei social media finisce per alimentare, esasperando, in un sorta di riflesso narcisistico, il senso di solitudine dell’individuo.
Contro questa visione, Giorgio Griziotti propone la costruzione di un “nuovo immaginario” a partire dall’idea di «singolarità» di ogni componente della realtà. A differenza dell’individuo, la singolarità esiste solo in relazione – condizione, questa, per produrre uno spostamento dell’immaginario. L’attenzione sulla «natura relazionale» del processo attraverso cui si costituisce la realtà (la materialità) di tutto ciò che viene a esistenza apre a una visione della realtà, organica e inorganica, interconnessa del mondo. Ripartire da qui significa anche ripensare la cooperazione, l’organizzazione effettiva della riproduzione sociale complessiva, per sottrarla, liberarla dalla sua natura capitalistica, vale a dire dalla finalità vincolante del processo di valorizzazione del capitale.
A chi spetta il compito di immaginare una nuova teoria del cambiamento? Per essere all’altezza delle sfide del presente e riuscire a pensare una possibile società futura?
* Su questo tema vedi Cena 105° – Ripartire da Karl Marx? – con Roberto Fineschi, qui o qui.
(4, continua)
5. Verso un’etica del collettivo: spiritualità, tecnologia e reintegrazione con Gaia
In un tempo in cui la vita sociale del singolo è mediata dai dispositivi della tecnologia digitale – veri e propri spazi materiali di produzione di socialità – la sua tutela esistenziale è sempre più segnata da dinamiche individualistiche: un’esasperata ricerca di autonomia individuale, di soddisfazione competitiva di bisogni privati. In questo contesto, come è possibile «passare a una fiducia nel collettivo», a una nuova etica del legame sociale?
Per uscire da una visione individualista dell’essere umano, è sufficiente richiamarsi all’etica antica del “cittadino”, nel senso originario di essere parte di una collettività istituita, caratterizzata da una reciprocità condivisa? Ma se a venir meno è proprio il riferimento normativo e istituzionale a un interesse collettivo, quale impatto può avere il contributo dell’impegno individuale ai fini di un’etica della solidarietà? La riscoperta di un’etica del collettivo richiede forse con urgenza di ripensare radicalmente il nostro modo di stare al mondo.
La riscoperta della spiritualità – un recupero della dimensione del sacro, non come dogma religioso, ma come esperienza di “ciò che è più grande” del singolo individuo – può farsi proposta politica e culturale? Il richiamo alla Gaia di James Lovelock, intesa non solo come sistema ecologico, ma come espressione di una rete di connessioni vitali è il rimedio a un modo di stare al mondo che la cultura occidentale assimila al paradigma della razionalità puramente strumentale del dominio, del potere pratico sulla natura?
Per riuscire a realizzare una «reintegrazione con Gaia», l’alleanza inedita tra “spiritualità”, come ritorno alla natura, e tecnologia è, per Giorgio Griziotti, la sola possibilità di «non andare verso una distruzione, un caos generalizzato», per abitare il mondo con maggiore consapevolezza.
Eppure, proprio la tecnologia contemporanea — e in particolare i social network — rappresenta oggi una delle principali forme di alienazione. Una nuova alienazione, nel senso proprio, che la progettazione dei dispositivi digitali* è intrinsecamente manipolatoria: piattaforme costruite per produrre dipendenza, i cui algoritmi sono finalizzati a catturare la risorsa principale dell’attenzione e a trasformare i micro-comportamenti quotidiani in data, in risorse per generare valore secondo le logiche monopolistiche del capitalismo digitale.
Di fronte a questa sfida della globalità del contesto, è pensabile una maggiore consapevolezza dello stare in un mondo senza un movimento collettivo – anche di hackeraggio, di sabotaggio dei social – in grado di generare alternative?
* Su questo tema vedi Cena n. 95: Contro lo smartphone – con Juan Carlos De Martin, qui e qui
(5, continua)
6. Un “nuovo spirito”, per una teoria situata nelle pratiche di resistenza
È possibile imparare a pensare la “realtà” del mondo come un’esperienza contingente, come a qualcosa che è com’è, ma che potrebbe anche essere diversa? Non si tratta di saperne prevedere il futuro. E neppure di conformarla alla visione progettuale di un’avanguardia politica. Viviamo davvero in un mondo incerto. C’è allora bisogno di un “nuovo spirito”, di “re-imparare a immaginare” il nostro stare al mondo – per uscire dall’impasse dell’assenza di alternative?
Aprire a una nuova prospettiva di comprensione è una cosa necessaria. Ma non va da sé. Al contrario. Una riconfigurazione simbolica della realtà richiede di applicare il cambiamento alla capacità stessa di apprendere a guardare, ma forse meglio dire “ascoltare”, la realtà. L’analogia sensoriale, proposta da Andrea Argena, che associa l’esperienza di apprendere all’“ascolto”, al mondo del suono*, è forse più adeguata a impostare il problema di far emergere l’esistenza effettiva di un “soggetto (politico) collettivo”: che è poi il problema dell’“altro” o dell’“altra”, degli altri con cui si entra in relazione.
Il riferimento di Giorgio Griziotti al metodo della conricerca di Romano Alquati è in questo senso rilevante. L’idea di una interdipendenza processuale, reciprocamente generativa, tra teoria e pratica è infatti in linea con la proposta di una più ampia svolta “ontologico-epistemologica”: si tratta cioè di imparare a cogliersi come entità fra altre entità, in “intra-azione” – direbbe Karen Barad – e, appunto, più in generale a ripensare la nostra posizione nel mondo.
Insomma, questo processo evolutivo di un futuro possibile non verrà da sé. Perché la costruzione di una soggettività collettiva prende forma solo in situazione, nell’esperienza vissuta, nella coscienza dei singoli e si lascia contaminare da emozioni, affetti e passioni reali; ma anche, ed è inevitabile, si alimenta di pratiche di resistenza, di contrasto e di conflitto, proprio perché avviene all’interno di una dinamica sociale più spesso funzionale al permanere di modalità di controllo, di autorità e di potere sull’esistente. E, anzi, forse oggi bisognerebbe, a fronte di una “polverizzazione” del soggetto collettivo in forme di aggregazione sempre più effimere, interrogarsi a fondo sul crollo in Occidente del sistema della rappresentatività politica e l’ascesa diffusa nel mondo di una forma politica autoritaria, il fascismo.
* Nota: Il mondo che ci interessa, ciò che chiamiamo «realtà», presenta una componente dinamica, e fondamentalmente interattiva, non riducibile a una rappresentazione visiva, di per sé statica. È il suono a informarci sul movimento e sul mutamento.
(6, continua)
7. In un mondo senza speranza… «non c’è alternativa, bisogna battersi»
Un’introduzione, questa, lunga. Ho sentito il bisogno di restituire l’intensità di una conversazione – un confronto generazionale sui problemi del mondo e il loro intrecciarsi con le urgenze personali – che fa del piacere della tavola un luogo di vita, dove si ride e si piange insieme. (11 giugno 2025)
La situazione è grave. E il mondo, così com’è, non va bene. Un mondo, almeno per le giovani alla tavola, senza speranza. Ci hanno tolto la capacità più grande, quella di immaginarci il futuro (Francesca Tisi), un futuro desiderabile. In questa condizione, come è possibile elaborare un orientamento, per costruire un senso, per dare una direzione alla propria vita? È possibile avere un qualche punto di riferimento, per almeno sapere dove ti trovi (Federica Campus) nel mondo?
Negli anni ’60, per i boomer presenti alla tavola, è dalle manifestazioni contro la guerra del Vietnam, è da lì, che le cose hanno cominciato a evolversi in una presa di coscienza (Giorgio Griziotti). Forse oggi, le proteste per la Palestina possono svolgere una funzione analoga, di costruzione di una coscienza collettiva.
Non ho speranza – ancora Federica – ma devo comunque fare qualcosa. Ma dove sta il punto cui applicare il cambiamento, per uscire dalla paralisi? Per Federica, sta nella capacità di provare interesse per ciò che accade – dal latino, appunto, interesse = essere in mezzo, partecipare, importare (inter = fra, esse = essere), cioè là dove si verifica una più evidente coincidenza tra valore cognitivo e valore affettivo nel proprio orientamento per le cose del mondo.
Il fatto è – e ciò accomuna le generazioni presenti alla tavola – che al rifiuto di far finta di vivere altrove (Federica), all’aspirazione a una vita più intensa, qui e ora, si accompagna più spesso la coscienza della durezza della realtà, della vita limitata – di una «vita di merda». Un irrimediabile dissidio tra la vita attesa e la vita offerta, anzi permessa, nel contesto della società attuale.
In crisi è l’orientamento sociale di un individuo, la sua fioritura, la sua prosperità personale, nei diversi contesti della sua vita sociale. È l’attuale contingenza della società capitalistica che non riesce a dare pieno sviluppo a quelle potenzialità di cui è essa stessa a dotare un individuo, anzi, le blocca, per poi vincolarne l’espressione all’inutilità sociale. Vai all’università, ti formi, ti arricchisci e poi alla fine rimani lì, e dici: adesso di tutta questa consapevolezza cosa me ne faccio? (Francesca).
Quindi, niente, non c’è alternativa. Bisogna battersi. Perché tutta la difficoltà che ci può essere nell’atto di resistenza – della militanza, delle lotte – è una cosa grossa, è una cosa che dà molto… è un “bagaglio”, è un apprendere, che ti permette di pensare e di vivere e di muoverti (Giorgio) nel corso del tempo. Ma resta la domanda cui non c’è risposta: Come riuscire a passare all’azione? Forse oggi serve anzitutto creare un nuovo immaginario, e poi riuscire a trasformarlo, cioè a metterlo in azione (Arianna Perruquet). Dunque, aprirsi al senso della possibilità, che è generativa di trasformazione.
Ma qual è la modalità, la forma in cui riusciamo a fare una pratica costruendo una teoria in modo che la cosa si incrementa, prende forma, e non è solo un esplosione, per diventare “senso comune”. Oltre alla riflessione globale attuale sul materialismo storico, da coniugare con “i nuovi materialismi”, per Giorgio Griziotti, non è possibile oggi fare a meno, per costruire una comprensione del presente, dell’apporto della filosofia derivata dalla meccanica quantistica. Una nuova risorsa teorica, che ci può aiutare, ci può aiutare.
(7, fine)
8. Occupare l’immaginario, liberare Gaia – Momento conviviale 1
Sulla rivoluzione del ‘68
Francesca Tisi: – Secondo alcune interpretazioni, la rivoluzione del ‘68 è stata, sì, anche arricchita e condita da istanze anticapitalistiche, però è stata più una rivoluzione sul piano dei costumi, sul piano cultural, intesa a rivendicare anche forme di vita un po’ libertarie, in un certo senso, alcune addirittura erano definite anche borghesi […],
Giorgio Griziotti: – […] In un movimento così globale e generalizzato, come non c’era mai stato nella storia, […] puoi tirare fuori centomila interpretazioni…
9. Occupare l’immaginario, liberare Gaia – Momento conviviale 2
«Siamo troppi», e l’infertilità maschile
Valeria Giannone: – Sul fatto che siamo otto miliardi…
Giorgio Griziotti: – Otto miliardi. Sono già aumentati nella serata?
Valeria Giannone: – Sono già aumentati, nell’ultimo minuto. [Risate] […] Siamo troppi e, quindi, la natura necessariamente si è adattata e ha sviluppato questa fluidità, questa indeterminatezza nel genere. Io ho una visione, più che valoriale, proprio biologica pura. Perché ormai siamo troppi.
Giorgio Griziotti: – Lo sapete, la riduzione della fertilità maschile negli ultimi trent’anni… questo è un segno…
10. Occupare l’immaginario, liberare Gaia – Momento conviviale 3
Tik Tok, una guerra cognitiva tra Cina e Occidente
Francesca Tisi: – Non è progettato a caso Tik Tok. Si differenzia proprio dal contesto orientale a quello occidentale, per come viene promosso. […]
Giorgio Griziotti: – Io questo non lo so. In Cina è diverso?
Francesca Tisi: – Sì, sì! Il tipo di contenuti promosso in Cina è di maggior spessore anche culturale e sociale.
Anna Gad: – Educativo.
Francesca Tisi: – Esatto. E, soprattutto, in Cina i social possono essere usati per un tot di tempo limitato… mentre nel contesto occidentale Tik Tok è stato sdoganato, promosso con contenuti bassi, beceri, futili, inutili, orientati a istupidire.
Questa è un’altra forma di guerra…