Da oltre 40 anni le principali economie del pianeta presentano un ritmo di crescita più lento rispetto al passato, con un impatto a livello globale sulla distribuzione della ricchezza della società. Nel Dopoguerra i contratti sociali si basavano infatti sull’idea di crescita economica generalizzata, in un quadro di tutele crescenti per i lavoratori, estensione di diritti e riequilibrio delle disuguaglianze, raggiunto da politiche tributarie progressive. Questa idea collettiva di contribuzione ai fini di un miglioramento universale è andata in frantumi a partire dagli anni Novanta, quando, per esempio, la maggior parte dei paesi Occidentali ha ridotto se non rimosso le tasse di successione. Da lì in poi, le disuguaglianze sociali hanno ricominciato a correre.
L’attuale modello di economia globale apre la strada a quella che è a tutti gli effetti una redistribuzione alla rovescia: si assiste a un trasferimento della ricchezza nelle mani di un numero sempre più ristretto di individui. A crescere a dismisura, e inmaniera spettacolare, sono i cosiddetti “super ricchi”.
In questo quadro di ingiustizia sociale, in cui l’assetto della vita democratica è rimesso in discussione e il collasso ecologico è divenuto scenario quotidiano, il ritorno al passato in termini di disuguaglianza e di concentrazione del potere sembra in via di compimento. Ci sono però anche delle enormi differenze tra ora e l’Ottocento. Siamo forse meno disposti ad accettare naturalmente le disuguaglianze ereditate.
Insieme ad Giovanni Semi*, proveremo a chiederci, ora, se possiamo permetterci ancora i super ricchi.
*Giovanni Semi è docente di Sociologia delle culture urbane e Sociologia generale presso l’Università di Torino. Si occupa di mutamento culturale, urbano e sociale. Fra le sue pubblicazioni: Gentrification. Tutte le città come Disneyland? (Il Mulino, Bologna 2015), L’osservazione partecipante. Una guida pratica. Seconda edizione (Il Mulino, Bologna 2022) e Breve manuale per una gentrificazione carina (Sesto San Giovanni, Mimesis 2023)