Siamo tutti turisti? Riqualificazione urbana, narrazioni in conflitto

C’è una stretta dipendenza tra il contesto storico-sociale entro cui prende forma l’immaginario “sintetico” della città e le strategie di crescita economica urbana, per lo più improntante a logiche di valorizzazione capitalistica. Le più recenti immagini della città, dopo la città industriale, quella post-industriale, post-moderna, globale, creativa e smart, rispondono a processi di adattamento dell’immaginario urbano alla dinamica storica del capitalismo.

L’immagine della città, che guida le strategie di riqualificazione e di rigenerazione urbana dell’attività di governo, ha davvero il potere di conformare le aree urbane a una narrazione unitaria, come a qualcosa cioè di coerente sul piano della progettualità e di coeso dal punto di vista sociale e culturale?

In realtà, non esiste una sola narrazione dello spazio urbano. Le diverse rappresentazioni urbane, e anche in conflitto tra loro, riflettono i diversi posizionamenti nelle relazioni di potere presenti su scala urbana: oltre a quella “dominante” o “egemonica” delle élite urbane, vi sono le rappresentazioni che scaturiscono dall’esperienza quotidiana dei quartieri, e in particolare di quelli soggetti a stigma, in genere interessati da fenomeni di migrazione. Una diffusa percezione “dall’esterno”, dei non residenti, di un problema di sicurezza finisce per riflettersi nella persistenza dello “stereotipo immaginario” di luoghi “a rischio” della città – e non senza una qualche conseguenza sull’idea stessa di riqualificazione del quartiere.

Per Alberto Vanolo, un’esperienza “geografica” dei luoghi in grado di fornire una più coerente costruzione narrativa con il senso del nostro stare al mondo è data dalla figura del turista: «siamo tutti turisti», la prospettiva del turista, la sua osservazione di un luogo di cui non è partecipante, va ricompresa come espressione di una personale posizione, estranea, situata “dal di fuori”, e la sua descrizione è pertanto sempre «un descrivere il rapporto del [suo] ombelico rispetto a qualcosa, a un luogo, al mondo».

È un “criterio di riflessività”, per cui, nel fare riferimento a una realtà che riguarda la convivenza, la descrizione o narrazione che ne facciamo non è mai indipendente dalla nostra “posizione” rispetto a quella realtà, dal modo con cui ci incontriamo o scontriamo con quella realtà.

(5, continua)

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