In un tempo in cui la vita sociale del singolo è mediata dai dispositivi della tecnologia digitale – veri e propri spazi materiali di produzione di socialità – la sua tutela esistenziale è sempre più segnata da dinamiche individualistiche: un’esasperata ricerca di autonomia individuale, di soddisfazione competitiva di bisogni privati. In questo contesto, come è possibile «passare a una fiducia nel collettivo», a una nuova etica del legame sociale?
Per uscire da una visione individualista dell’essere umano, è sufficiente richiamarsi all’etica antica del “cittadino”, nel senso originario di essere parte di una collettività istituita, caratterizzata da una reciprocità condivisa? Ma se a venir meno è proprio il riferimento normativo e istituzionale a un interesse collettivo, quale impatto può avere il contributo dell’impegno individuale ai fini di un’etica della solidarietà? La riscoperta di un’etica del collettivo richiede forse con urgenza di ripensare radicalmente il nostro modo di stare al mondo.
La riscoperta della spiritualità – un recupero della dimensione del sacro, non come dogma religioso, ma come esperienza di “ciò che è più grande” del singolo individuo – può farsi proposta politica e culturale? Il richiamo alla Gaia di James Lovelock, intesa non solo come sistema ecologico, ma come espressione di una rete di connessioni vitali è il rimedio a un modo di stare al mondo che la cultura occidentale assimila al paradigma della razionalità puramente strumentale del dominio, del potere pratico sulla natura?
Per riuscire a realizzare una «reintegrazione con Gaia», l’alleanza inedita tra “spiritualità”, come ritorno alla natura, e tecnologia è, per Giorgio Griziotti, la sola possibilità di «non andare verso una distruzione, un caos generalizzato», per abitare il mondo con maggiore consapevolezza.
Eppure, proprio la tecnologia contemporanea — e in particolare i social network — rappresenta oggi una delle principali forme di alienazione. Una nuova alienazione, nel senso proprio, che la progettazione dei dispositivi digitali* è intrinsecamente manipolatoria: piattaforme costruite per produrre dipendenza, i cui algoritmi sono finalizzati a catturare la risorsa principale dell’attenzione e a trasformare i micro-comportamenti quotidiani in data, in risorse per generare valore secondo le logiche monopolistiche del capitalismo digitale.
Di fronte a questa sfida della globalità del contesto, è pensabile una maggiore consapevolezza dello stare in un mondo senza un movimento collettivo – anche di hackeraggio, di sabotaggio dei social – in grado di generare alternative?
* Su questo tema vedi Cena n. 95: Contro lo smartphone – con Juan Carlos De Martin, qui e qui
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