Biotecnologie riproduttive, per un’etica della responsabilità più relazionale

“Un principio che difende il dovere di garantire al bambino che mettiamo al mondo una soglia minima di benessere sembra […] un criterio di scelta più vicino alle nostre intuizioni di senso comune e senza dubbio rispecchia la nostra idea che la genitorialità richieda un minimo di responsabilità.”(Maurizio Balistreri)

Ma che tipo di responsabilità comporta la scelta di mettere al mondo un figlio? E, nell’attuale scenario riproduttivo delle biotecnologie (il ricorso allo screening genetico o a un altro test prenatale e alla riproduzione assistita), che orientamento assume il tema della responsabilità della scelta?

In tale scenario, la scelta riproduttiva è chiaramente definita da finalità terapeutiche. Limitarsi a sostenere un criterio di  scelta etica centrato sull’autonomia individuale o personale non sembra essere sufficiente. In tal caso, la scelta di far nascere (anche in caso di gravi patologie genetiche) o non far nascere un bambino sarebbe indifferente.

Preoccuparsi invece per la dotazione genetica del bambino che nascerà non significa forse portare l’attenzione, fin dal momento del concepimento (in  vivo o in vitro), sulla relazione stessa di cui farsi responsabili, prendersi cura – una relazione terapeutica – per offrire a un nuovo essere umano la possibilità di nascere in una condizione migliore?

La biotecnologia riproduttiva, che incorpora il sapere della scienza, uno straordinario processo di cooperazione sociale dagli effetti contraddittori e carico di rischi fatali, può tuttavia orientare nella scelta di un bene comune.

(7, continua)

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