Della verità e libertà della scienza nella società capitalistica

La pandemia di Covid-19 è stato la disfatta della scienza. Non certo per il suo risultato – al di là della gestione sanitaria – nel contenere la propagazione di un agente virale patogeno; quanto invece per il richiamo dogmatico all’autorità con cui , in risposta al panico indotto nella popolazione, si è tentato di accreditare la ricerca scientifica nel ricco mondo occidentale.

Si è fatto ricorso al mito centrale della cultura dell’Occidente, al mito positivista del progresso: essa è l’unica cultura, attraverso la scienza, in grado di cogliere la realtà delle cose; è la sola, attraverso la tecnica, in grado di dominare la natura che minaccia la sopravvivenza umana. “La Scienza è Verità!”, in senso assoluto, e il diritto alla critica, alla riflessività del processo di costruzione della conoscenza – che pure è un esito storico-culturale della modernità – è stato messo a tacere. Ma la realtà di ciò che accade è molto più complessa di qualsiasi spiegazione resa disponibile dalle scienze dure che, come insegna Alessandro Ferretti, si occupano solo di sistemi semplici.

Su invito di Elena Del Col, forse si tratta di ritenere che la pretesa di “neutralità” della scienza è il punto cieco della cultura dell’Occidente: l’escludere l’operatore (osservatore/interprete) della scienza, “dura o elastica” che sia, inteso come collettivo di esseri umani, dal mondo in cui opera, significa dimenticare che essa, per essere tale, ritaglia dalla realtà un certo numero di enti e di fenomeni (una ontologia), definisce un contesto; stabilisce percorsi di conoscenza adeguati a quel contesto (una epistemologia); e al tempo stesso persegue condotte coerenti con l’esistenza di quel contesto (un’etica).

Ma cosa succede se si dimentica che a fondamento del bisogno di fornire una spiegazione del reale, del caos del mondo, c’è l’emotività del vivere, e cioè che la necessità di fare i conti con l’incertezza della possibilità di vivere è la condizione del nostro stare al mondo? Cosa succede se la vita degli operatori della scienza è fagocitata dal primato economico – questo sì assoluto – della produzione capitalista, la cui misurazione della ricchezza è violentemente ricondotta alla sola realtà quantitativa del denaro? Ne va della stessa «libertà della scienza che presuppone che lo scienziato non sia una persona che si fa gli affari suoi con la scienza» (Alessandro Ferretti).

(3, continua)

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