Excursus: obbedienza sociale, educazione e atti di resistenza

La «buona educazione» è la funzione sociale speciale del sistema educativo, di ogni istituzione educativa. Essa con­siste appunto nell’apprendere premesse – valori, comportamenti – che rendono possibile la convivenza in una società. Ma niente mi potrà convincere che oggi quanto più questa funzione si è fatta universale – per tutti e ognuno – non continui a svolgere una funzione di adattamento. Anzi di «servitù volontaria», per cui vale ancora la critica del tiranno di Étienne de La Boétie, nel suo Discorso della servitù volontaria (Discours de la servitude volontaire o Contr’un, 1546-48).

«Vorrei solo riuscire a comprendere come mai tanti uomini, tanti villaggi e città, tante nazioni a volte, sopportano un tiranno che non ha alcuna forza se non quella che gli viene data, non ha potere di nuocere se non in quanto viene tollerato. Da dove ha potuto prendere tanti occhi per spiarvi se non glieli avete prestati voi? come può avere tante mani per prendervi se non è da voi che le ha ricevute? Siate dunque decisi a non servire più e sarete liberi!»

Oggi la visibilità del «tiranno» non è quella della sua incarnazione nel corpo sacrale del re. Non di meno, nella “crisi” attuale dell’ordine sociale, come non vederne gli effetti di soggezione, di asservimento a un sistema di dominio. Da dove discende infatti l’apprendimento secondo cui la competizione, il “darwinismo sociale”, è diventato la regola che governa la società degli individui?

Qual è allora il senso da assegnare all’intreccio che tiene insieme individuo e società? Di che è fatta l’interdipendenza che consente la convivenza sociale? Dall’educazione alle «buone maniere»  per la sola conservazione di un sistema di governo che genera atroci disuguaglianze nella società? Che cosa perpetua la convinzione che «atti di resistenza» possibili contro questo ordine di cose siano un danno per l’interesse di coloro che ne sono «schiavi», che vivono un senso di impotenza?

(3, continua)

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