Il tempo di una forma geografica è il presente. Come “in sogno” le immagini, così gli elementi spaziali hanno una loro presenza autoevidente, chiara e distinta. Il presente di uno spazio geografico è però insieme il risultato di una stratificazione di elementi nel tempo, che colloca l’esistenza terrestre degli umani entro un ordine temporale.
La presenza dei luoghi si caratterizza per l’originale combinazione di temporalità diverse: è la potenza dello spazio stesso di cristallizzare il tempo, di tenere insieme i tempi della geologia e quelli della storia, quelli della vita sociale e quelli della vita vissuta dell’individuo. La realtà spaziale, da una parte, è il prodotto dell’azione umana, dall’altra, a sua volta modella, vincola le pratiche, i valori e i ritmi di un mondo di vita, che da quella realtà spaziale sempre dipende. In questo senso c’è come una “relativa autonomia delle forme geografiche rispetto alla variabile temporale: esse non sono solo il prodotto del tempo, ma contribuiscono a dare forma al tempo – al tempo della natura e al tempo della storia.” (Paolo Furia)
La spazialità vissuta, l’immersione nei luoghi – con i loro strati di cristallizzazione del tempo – è la modalità del nostro essere terrestri. E forse non solo, lo è anche della comprensione che siamo in grado di esercitare sulla realtà stessa. La natura della nostra essenziale facoltà di interpretazione simbolica e linguistica del mondo ha forse la sua radice nel “movimento” della nostra esperienza dello spazio in quanto spazio, nella sua materia e nelle sue forme autonome, che chiamano in causa la sfera sensibile, affettiva e corporea dell’essere umano.
La stessa espansione immaginativa della nostra mente – la sua creatività (o stupidità) – non è forse essa stessa un’eredità terrestre, un’eredità della terra che abitiamo, come modo di apprendere a vivere, a stare nel mondo?
(6, continua)