Non esiste il male assoluto, l’umano vive nel tempo, nella storia

Il paradigma dell’imperfezione è in grado di farsi carico di opportunità e limiti della comunicazione, di quella problematicità che deriva dalla varietà sorprendente degli esseri umani. La cosa bella è confrontarsi con la diversità degli esseri umani, è dare spazio alle persone.

Pensare che l’odio sia più interessante dell’amore, che il male sia più interessante del bene, è per Peppino Ortoleva un vizio tipico del nostro tempo. L’ambiguità dell’umano – del suo essere a volte buono e a volte cattivo – è pervasiva nell’immaginario letterario contemporaneo – e la diffusione del genere noir è, al riguardo, emblematica. La figura letteraria del malvagio – Iago nell’Otello di Shakespeare – è in effetti intrigante, affascinate. In realtà, il bene è più interessante del male, proprio per il suo essere meno ovvio. La figura del buono è anche più misteriosa, ed è rarissima.

Fare di Adolf Hitler, un personaggio storico, la figura del male assoluto è, per Peppino Ortoleva, un errore. Il male assoluto isola un personaggio e ne fa una figura metafisica. Al contrario, del male continua a valere ciò che ne osservò Hannah Arendt, che si manifesta nella banalità. Non esistono esseri umani diabolici. Non c’è il cattivo assoluto, come non c’è il buono assoluto. Il che non significa chiudere gli occhi di fronte all’orrore, alle atrocità di cui l’essere umano è capace. Il male appartiene a figure della storia, è storia, che è il modo in cui l’umano vive nel tempo.

In cosa consiste oggi il male? La figura letteraria di Lady Roxana, nell’omonimo romanzo di Daniel Defoe, ne è una straordinaria anticipazione: è l’avidità, espressione della mentalità di una società basata sul denaro – è un “fare di conto” di una prostituta a svelare il destino relazionale dell’individuo moderno, che «si identifica con la venalità e corruzione gene­rali», con «la prostitu­zione generale […] come una fase neces­saria del carattere sociale delle disposizioni, capacità, abilità e attività personali. In termini più compiti si dice: l’uni­versale rapporto di utilità e di utilizzabilità» (Karl Marx). È una banalità, per quanto scan­dalosa, ma è questa banalità a far girare il mondo, che nel perseguire l’indipendenza individuale non fa che realizzare una generale indifferenza reciproca.

E della bontà cosa siamo in grado di dire? Il bene non sta solo nelle azioni buone. Le persone buone sono coloro che guardano oltre sé stesse, oltre i propri interessi, che sanno dare una parte di sé agli altri con generosità. La loro esistenza non è ovvia, l’economia politica non le spiega.

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