È a nostra disposizione una teoria della transizione? Esiste un apparato concettuale in grado di gestire la sfida dell’abitabilità stessa del nostro pianeta?
Che problema è la “transizione” da una società a un’altra? Cosa significa transitare da un regime ecologico a un altro? A inizio ‘900 la rivoluzione sovietica si pose la questione, e, in tempi più recenti, dopo gli anni ’70, quando fu chiesto, all’interno di un dibattito del Partito Comunista Francese, a intellettuali come Étienne Balibar, a Maurice Godelier e altri antropologi, di formulare i termini della questione.
Per Dario Padovan, il problema di fondo così come fu definito allora – capire da quale società, da quale regime ecologico si tratta di uscire – resta tuttora una questione da risolvere. La necessità di un’alternativa che va a sommarsi alla società esistente – in una logica di dualismo di potere tra due società a confronto, tra due sistemi economici in frizione l’uno con l’altro – inevitabilmente implica un aumento di pressione sulle risorse energetiche per il funzionamento della società.
All’interno di una logica di conflitto tra una dimensione e un’altra, quel che occorre avere è una serie di indicatori in base ai quali poter “misurare” il cambiamento, e cioè avere una “strategia di uscita” dal presente. E non sembra che questa esigenza sia per le attuali istituzioni politiche europee all’ordine del giorno.
(1, continua)