In arrivo / Cena Nº72 - Giovedì 28 Ottobre 2021

Siamo in un tempo post-cristiano

con Enzo Bianchi

«Ormai “il mondo cristiano”, che nel mondo non c’è più, è ignorato senza ostilità ma nella forma dell’indifferenza». (Enzo Bianchi)

Ma se c’è una presenza cristiana nel mondo, la sua differenza è ancora in grado di dire qualcosa di significativo per la convivenza umana? La differenza cristiana risiede nel primato della fede nella figura di Gesù Cristo, la cui fonte si nutre della storicità del Vangelo, e nell’annuncio di un Regno che viene.

Come può un credente di fede cristiana interpretare il suo «essere nel mondo, ma non di questo mondo»? Come può stare nel mondo senza «stare contro» il mondo? Un mondo il cui annuncio sembra essere la catastrofe prossima ventura.

Forse questa domanda su come stare «altrimenti» nel mondo è espressione di una «ricerca» che riguarda il processo di costruzione di ogni soggettività, per diventare consapevole dei tempi che viviamo.

Insieme a Enzo Bianchi* si potrà riflettere sulla radicale differenza cristiana nella dimensione pubblica della vita collettiva.

* Enzo Bianchi, è un monaco cristiano e saggista, fondatore della Comunità monastica di Bose nel 1965, a Magnano, della quale è stato priore sino al gennaio 2017. Per saperne di più: https://it.wikipedia.org/wiki/Enzo_Bianchi

1. Il «quarto uomo» o del cristiano disincantato

Il «quarto uomo» è, per Enzo Bianchi, un cristiano disincantato. È l’uomo che nel corso della storia della Chiesa cattolica, dopo il Concilio Vaticano II, si è aperto a un dialogo con il mondo, e ora si ritrova a dover fare i conti con un mondo la cui cifra è il disincanto, e a vivere lui stesso il disincanto.

Il disincanto – una tonalità emotiva di fondo –  è il dispositivo del regime moderno, della cultura occidentale, sul mondo: nessuna forma alternativa alla convivenza umana attuale è possibile al di fuori dell’orizzonte temporale della crescita economica illimitata e della proclamata libertà individuale. A questa “riduzione” del mondo nessuna attesa “altra” sembra avere ancora valore.

A differenza del «primo uomo», il cattolico tradizionalista, e del «secondo uomo», il cattolico del rinnovamento conciliare, il «quarto uomo» si è sostituito al «terzo uomo», al cristiano sensibile del ritorno al messaggio evangelico, uomo adulto ed emancipato da ogni forma di autorità, ma a differenza di questo non ha più alcuna attesa*.

È quindi nella forma dell’indifferenza che si dissolve il messaggio cristiano?

(1, continua)

2. Incontrarsi è divino o della «grammatica umana»

Il “divino” è all’opera nell’incontro – saggezza che appartiene già all’antichità greca. Incontrarsi con l’altro, gli altri è la pratica di una «grammatica umana» seria, con cui modellare la soggettività di vite singole, fatta di relazioni di amicizia, di amore, di giustizia e del coraggio della verità.

Alla specificità cristiana della fede in una resurrezione dalla morte, appartiene, per Enzo Bianchi, la speranza di ritrovare in un “al di là” la presenza degli amici, di chi ci ha amato e abbiamo amato, che è tutto ciò che qui e ora vale la pena vivere, e che ci tiene insieme. Una speranza, se possibile, da condividere in cammino. In alternativa alla mancata accettazione della nostra finitudine, non resta che il sogno di una “immortalità nel nulla”. (Wladimir Jankélévitch)

Ma ugualmente, in assenza di questa fede, quale “restituzione di integrità”, di pienezza vitale, è possibile reclamare per tutti coloro la cui esistenza è segnata dal male, dall’infelicità, dall’oppressione del potere? Come soddisfare il bisogno di bellezza, cui l’angelo (rilkiano?), creatura di confine tra il visibile e l’invisibile, apre all’espressività del vivere?

È così che continuiamo ad avere bisogno ancora di “apparizioni”, e del loro messaggio, come possibilità umana.

(2, continua)

3. L’aborto o della morale e del linguaggio ecclesiastico versus le donne

La morale della Chiesa cattolica sulla sessualità, e soprattutto sul tema dell’aborto, è forse l’espressione di un grumo indissolubile nell’esercizio della sua stessa autorità. È quello della sua cultura patriarcale.

Ma, l’opposizione tra rifiuto tradizionalista e apertura alla modernità in fatto di morale sessuale non scioglie ciò che è in gioco nella questione femminile per la Chiesa. Ad attenuare, poi, la violenza misogina del linguaggio patriarcale della morale ecclesiastica forse non basta il ricorso al linguaggio della compassione – della misericordia, come reclama Enzo Bianchi.

C’è in gioco molto di più. Una visione dell’essere umano in conflitto. E, soprattutto, la difficoltà di accogliere il primato della relazione costituiva attraverso cui emerge l’umano – il suo farsi “in relazione”, nell’“essere tra”, che dà vita a un abitare aperto alla possibilità, alla fiducia nella vita stessa – e la cui “gestazione” è il corpo della donna.

(3, continua)

4. Cristianesimo: eredità culturale o speranza evangelica?

È cambiato un mondo, ed è la cultura dell’Occidente, il suo processo di secolarizzazione, a fornire la cifra del cambiamento: la scomparsa della differenza cristiana. Per Enzo Bianchi, a essere a rischio è la permanenza del riferimento alla “resurrezione,” esperienza di una trascendenza che si dà nel corpo di Cristo.

Che ne è del messaggio evangelico – della specificità cristiana – nella società secolare del “consumatore sovrano”? Al di là di reazioni tradizionaliste, in cui la sua presenza si conserva sotto forma di ritualità liturgica, la tradizione storica del Cristianesimo è destinata a sopravvivere solo più come eredità culturale?

Sembra però indubbia la sua funzione storica. Di continuare cioè ad alimentare interrogativi sulla possibilità di una «grammatica umana» come criterio regolatore della convivenza sociale.

(4, continua)

5. Fede e speranza, ma «l’amore va più in là»

Qual è la specificità della religione cristiana? È la fede nella corporeità di un uomo, e a testimoniarne l’esistenza è la storicità della scritturaevangelica, un’esistenza la cui promessa è una speranza di salvezza, in una vita che è sconfitta della morte.

Ma è davvero un dono che dipende dalla misteriosa gratuità divina? O è una malattia?

E perché poi la fede stessa non basta? Nella parola evangelica, non è infatti la fede a garantire la salvezza. In cosa davvero il credente cristiano ripone fiducia per potere comprendere ciò che vale la pena non solo per vivere in questo mondo, ma per guadagnare quel «al di là» che non è di questo mondo?

L’amore è forse il mistero più grande.

(5, continua)

6. Della vita comune o del vivere la relazione

La vita comune è segnata oggi da un sentimento di perdita del legame sociale. O, meglio, quella tonalità emotiva di fondo è il sintomo di una riduzione della vita sociale degli individui a una comune indifferenza reciproca. E non è facile per ognuno essere costretto a cavarsela da solo, a fare i conti con la propria solitudine.

Su che base allora costruire un’esperienza di comunanza, di ciò che tiene insieme la vita degli individui? Per Enzo Bianchi, il fondamento di unasolidarietà umana – nelle sue parole, di un vivere nella sororità e nella fraternità o in amicizia – sta nella non dimenticanza della comune condizione di mortalità.

Una meditazione, quella di Enzo, che a me non sembra contrapporre la finitezza umana a qualcosa che sta al di là, di estraneo alla vita, ma ne è al contrario la realizzazione. La natura della finitezza è tale da richiedere un lavoro di comunicazione, l’espressione infinita di una tessitura di fili – un’esperienza di «messa in relazione» – che è ciò di cui si compone la vita. Un vivere che è relazione.

Ma la difficoltà dell’individuo moderno sta proprio nel suo viversi come individuo isolato. E anche là dove la vita è «in comune», come in una comunità monastica, senza apertura al mondo, la possibilità stessa di trovare in un’attività collettiva la via di uscita dal problema di un’universale indifferenza reciproca è destinata a fallire.

(6, continua)

7. «La violenza che ci abita» o dei “peccati capitali” corporali

La questione teologica dei “peccati capitali”, quelli “minori”, sembra “estranea” alla comprensione di un giovane alla tavola. Ma per la sensibilità deipresenti meno giovani, un’invenzione della cultura medioevale non così trascurabile nella loro formazione educativa.

Il tema dei peccati carnali riguarda la relazione con il proprio corpo e con quello degli altri, come ricerca di un godimento fisico, come esperienza del piacere riferita appunto all’assunzione di cibo e di bevande e all’esercizio della sessualità. Ma per la morale cristiana, come e perché queste passioni del corpo e dello spirito si deformano in qualcosa di deprecabile, e cioè in voracità (gastrimarghia) e lussuria (pomeia)?

Per Enzo Bianchi, l’ingordigia di cibo e di sesso affonda le radici in uno stesso terreno, quello della «violenza che ci abita», là dove il corpo è chiamato alla prova della relazione, ad esprimersi nella “congiunzione”, nell’”essere con”, con l’altro e con gli altri. È una scoperta che richiede un «apprendistato».

(7, continua)

8. Su una ricetta di cucina e un passo evangelico

“Non di solo pane” vive l’essere umano. E a dimostrazione di ciò, ecco da Enzo Bianchi una gustosa e prelibata ricetta di cucina, di un grande piatto, e altre prelibatezze gastronomiche.

Ma di quale fame ha bisogno poi di nutrirsi lo spirito? Per Enzo Bianchi, c’è un passo evangelico (Giovanni, 21, 15–17)* che può valere come risposta, e come compendio di tutta una vita.

Forse è una stessa fame quella che può aprire uno spazio di consapevolezza per cui il nostro stare al mondo diviene l’espressione di uno stare insieme, di una vita comune, che ancora è da apprendere. E ciò perché c’è da salvare un mondo.

* Dopo che ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro?». Gli rispose: «Certo Signore, tu lo sai che ti voglio bene» […]

(8, fine)