La tecnica è da sempre una forma di mediazione degli umani con il mondo ed è una costruzione sociale attraversata da conflitti e biforcazioni. Il concetto di neurocapitalismo è stato ispirato proprio dalle modalità e dalle forme che questa mediazione tecnologica prende nel plasmare i nostri comportamenti e le nostre soggettività, sia sul piano individuale che su quello collettivo, a partire dall’inflessione neoliberista.
Quali sono le mutazioni che si producono nel passaggio dal capitalismo industriale a quello biocognitivo? E, in questo passaggio, quali dispositivi del neurocapitalismo contribuiscono a nuove forme di assoggettamento sociale e di asservimento macchinico delle nostre vite?
Una volta chiarito il quadro complessivo con cui opera il neurocapitalismo – una sintesi disgiuntiva che, appunto, separa ed unisce lavoro pagato e non pagato, lavoro valorizzato e non valorizzato, lavoro umano ed extra-umano, sfruttamento della natura ed inquinamento globale – è possibile che si presenti come unica, e ultima, condizione vitale di resistenza e di lotta, la necessità di una rivoluzione globale? Che, in altri termini, si affermi ciò che Giorgio Griziotti chiama il “comune al singolare”, come ciò che “è prodotto” nel fare della cooperazione umana stessa?
Insieme a Giorgio Griziotti cercheremo di smentire e capovolgere l’affermazione un po’ depressiva di Mark Fisher che sia più facile immaginare la fine del mondo che non quella del capitalismo.
1. Neurocapitalismo: bioipermedia e movimenti di ribellione
È una riflessione, quella offerta da Giorgio Griziotti, sull’intreccio tra nuova tecnologia dell’informazione e della comunicazione e movimenti politici di ribellione, che a partire dalla fine degli anni ’60 trova nell’Università di Berkeley il suo punto di partenza.
Un intreccio ancora attuale. Perché la pervasività della tecnologia elettronica (come i dispositivi mobili) su base cognitiva, incorporata nella fase recente del sistema capitalistico (come l’economia delle piattaforme), che Giorgio Griziotti definisce «neurocapitalismo», è divenuta la forma di governo, sociale e politica, che modella tutta la nostra vita (bio-politica e bio-ipermedia).
Come questo “salto tecnologico” continua a segnare il nostro presente?
È possibile immaginare un movimento di ribellione, anzi, una rivoluzione delle condizioni sociali della nostra vita?
(1, continua)
2. Neurocapitalismo: rivoluzione o collasso ecologico/finanziario
Nella situazione attuale, di un capitalismo sull’orlo del collasso ecologico e della crisi finanziario, che cosa fare? Per Giorgio Griziotti, non resta da fare che «la rivoluzione».
Oggi, in cui è la dinamica dell’economia delle piattaforme a mettere a valore il “consumo” della nostra vita individuale, il suo stesso investimento sociale, emotivo e affettivo, attraverso l’estrazione dei nostri dati comportamentali, come è possibile promuovere il senso di un legame sociale stesso?
È possibile uscire da un contesto culturale, e di una comunicazione, che di fatto promuove un’iper–individualizzazione dei soggetti? Esiste, da qualche parte, la possibilità di sottrarsi alla logica di valorizzazione capitalistica della nostra stessa socialità?
(2, continua)
3. Neurocapitalismo: mediazioni tecnologiche ed espropriazione politica
Una tecnologia cognitiva (della vita mentale) – come è la scrittura – è, appunto, un medium, una “mediazione”, un’espressione sociale della nostra vita; è una tecnologia, infatti, che, mentre modella le potenzialità sensoriali e cognitive dell’esperienza di sé, svolge, al tempo stesso, una funzione di orientamento, cioè consente l’accesso all’esperienza culturale del mondo, in base all’informazione disponibile in una società.
Un dispositivo tecnico mobile, come uno smartphone, rappresenta in maniera plastica – da portare in tasca – tutto ciò.
Ma cosa succede quando, la tecnologica dei media (dell’informazione e della comunicazione) diviene un mondo, una realtà iperconnessa, in grado di sussumere la nostra vita corporea, e il nostro desiderio, in un sistema di interattività globale?
Significa che l’interdipendenza sociale si è trasformata in una funzione di controllo, in un sistema di “sorveglianza globale” della vita individuale? O, ancor più, che quella stessa interdipendenza è in grado di trasformare l’intera vita individuale, produttiva e riproduttiva, in una sua messa a valore (monetario), in un processo di estrazione di valore del sistema capitalistico?
Per Giorgio Griziotti, da questa situazione non se ne esce, se non attraverso un processo di espropriazione – «espropriare gli espropriatori» (K. Marx) – un cambiamento delle regole di valorizzazione della macchina politica attuale.
(3, continua)
4. Neurocapitalismo: andare oltre la lotta di classe?
«Pagheremo tutto, e pagheremo caro!», di come cioè, nell’attuale perdurante crisi economica, la vita stessa è messa a valore, in ogni modalità della esistenza corporea, dalla macchina politica del capitalismo. L’estrazione di valore – più spesso gratuita, senza remunerazione – che garantisce la continuità del processo di valorizzazione del capitale, è sempre più pervasiva, in grado di incorporare, attraverso gli stessi dispositivi digitali, spazi e tempi della vita stessa.
Come uscire dalla gestione parassita del capitalismo delle piattaforme su ogni forma di vita – e sulla sua riproduzione sociale?
È individuabile la macchina politica – «il nemico» – che genera la miseria di una tale «schiavitù»?
Per Giorgio Griziotti, non è possibile uscirne che nei termini di una inedita, ma ineludibile, «lotta di classe». Perché si tratta pur sempre di una relazione tra oppressi e oppressori, in un mondo, appunto, in cui i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.
(4, continua)
5. «Il comune», immaginare la fine del capitalismo
È possibile immaginare la fine del capitalismo?
Per Giorgio Griziotti, nel termine «il comune» – sostantivo singolare – si racchiude l’orizzonte di un immaginario collettivo per la costruzione di un’alternativa al capitalismo.
Il dominio dell’ideologia neoliberista dell’individualismo – dell’individuo come entità a sé stante, chiusa in sé stessa – non rende l’impresa facile.
Quali strumenti sono oggi disponibili per l’affermazione di questa pratica del comune? E per la sua organizzazione come alternativa al modello dell’economia capitalistica?
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6. In sintesi – Oltre il neurocapitalismo, dopo la crisi (da coronavirus)
Uscire dal neurocapitalismo: come convivere con il non-sapere come andrà a finire?
A inizio febbraio, a tavola Giorgio Griziotti, nel suo discorso (qui in sintesi) sulla crisi della società nell’attuale fase del capitalismo, poneva una questione radicale: siamo di fronte a una biforcazione della storia – o la rivoluzione globale o la catastrofe e, se non la catastrofe, una gestione totalitaria del potere (un nuovo fascismo). Non era una profezia, ma l’esito di un’analisi dell’attuale instabilità dell’economia, a dominio finanziario, del sistema-mondo capitalistico, fatta anche in riferimento proprio alla circostanza di un eventuale disastro come una pandemia, cui si fece cenno – in quel momento il Covid-19 sembrava ancora solo una realtà relegata in Cina.
Di lì a poco, la catastrofe è diventata cronaca, e il senso di una rottura nel tempo della storia è diventata l’insistente espressione di un immaginario collettivo: nulla sarà, o potrà essere, più come prima; un’espressione che sembra dare un senso a una calamità in cui ne va del nostro vivere e del nostro morire. Una rottura necessaria, ma forse non sufficiente, per il nostro “apprendistato” a vivere, per imparare a riflettere, come ci obbliga l’origine e la propagazione del contagio del virus, sull’intreccio di rete della vita, quale condizione della vita tutta.
Siamo in presenza di una pandemia, che non è la rivoluzione, e forse neanche una catastrofe. E tuttavia presenta forse un punto di rottura, o almeno di interruzione, della “normalità” che ha il potere di mettere in gioco, in un tempo in apparenza sospeso, la regolarità del mondo. Ha il potere di mettere in discussione i sistemi di riferimento usuali con cui tentiamo di osservare le dinamiche di fondo che presiedono al «ricambio materiale e spirituale» con la natura; ha il potere di mettere in discussione il sistema di idee che collegano la nostra vita materiale alla complessa rete della vita del mondo, entro cui prende forma la nostra convivenza.
C’è allora un preliminare problema che la traccia del virus fa emergere: come possiamo, se vogliamo avere una comprensione del mondo e immaginarne un futuro, fare affermazioni relative alla realtà senza farci carico di come ci stiamo, del modo cioè della nostra convivenza? È una domanda che ci coinvolge in una personale responsabilità politica.
(6, fine)