“Tutto il mondo è un teatro (o un palcoscenico)”: un concetto antico che oggi viene inteso molto diversamente dal passato. Potremmo cominciare da qui, dal significato di questa differenza, e proseguire con l’accertamento del significato e dell’attualità del nostro titolo, “Siamo tutti attori”.
Dopo di ciò, potremmo venire al cuore del problema, ossia a come si possa diventare attori consapevoli e “bravi”. E per spiazzare i nostri pregiudizi proveremo, insieme ad Antonio Attisani*, a metterci all’ascolto di sapienze molto lontane nel tempo e nello spazio.
* Antonio Attisani, attore presso la Scuola del Piccolo Teatro nel 1968, ha preso parte agli spettacoli delle stagioni 1968-69 e 1969-70. Successivamente ha dato vita al Teatro del Sole con Carlo e Iva Formigoni; ha poi partecipato al Gruppo della Rocca. Nel 1976 ha fondato la rivista «Scena», lasciata nel 1981, anno in cui ha diretto per la prima volta il Festival di Santarcangelo. Dal 1992 è stato professore di Storia del teatro. Ha scritto diversi contributi sul teatro in generale, tra i quali ricordiamo: Fiabe teatrali del Tibet; L’invenzione del teatro. Fenomenologie e attori della ricerca; Un teatro apocrifo; Logiche della performance. Dalla singolarità francescana alla nuova mimesi; Solomon Michoels e Veniamin Zuskin. Vite parallele nell’arte e nella morte; e ancora insieme a Carlo Sini La tenda. Teatro e conoscenza.
Copertina: Paolo Gioli, L’uomo senza macchina da presa (film stenopeico), 1973-1981-1989
1. “Fare teatro” come arte drammatica: musica, canto e danza
Siamo tutti attori, nella vita noi tutti facciamo teatro, sempre. È un’affermazione impegnativa, riguarda il nostro modo di esistere, il nostro modo di stare al mondo.
Ma che cosa significa “fare teatro”? A quale esperienza teatrale contemporanea bisogna guardare? Alla tecnica rivoluzionaria di formazione degli attori di Jerzy Grotowski?
«Non è l’avventura teatrale che è importante nella vita, ma la vita come avventura, questo è importante. All’inizio per me il teatro è stato unicamente il pretesto, lo pseudonimo della vita come avventura, un raggio in più. Il teatro non è stato niente di più per me, mai; l’attore era lo pseudonimo per dire essere umano, niente più.» (Jerzy Grotowski)
E da qui occorre forse risalire più indietro. Per Antonio Attisani, è alla Poetica (fraintesa) di Aristotele che bisogna tornare, alla sua interpretazione della poiesis come “arte drammatica”, della poesia come “azione performativa” della vita tutta.
(1, continua)
2. Aristotele e l’arte drammatica come fondamento dell’educazione
Antonio Attisani ci propone una lettura rivoluzionaria della Poetica di Aristotele. L’arte drammatica è per Aristotele il fondamento del progetto educativo di formazione del cittadino per la vita stessa della città, della polis greca.
Un percorso che si avvale, fin dall’infanzia, della pratica delle arti corporee ed espressive della musica, del canto e della danza, e si sviluppa nelle tecniche dell’osservazione, dell’imitazione e dell’improvvisazione, propedeutiche al teatro alla sua composizione in una forma di discorso (una scena, una sequenza, un atto), per completarsi nel “montaggio”, nella costruzione dell’opera.
L’arte drammatica è quindi, per eccellenza, un’arte relazionale, e là dove la soglia della scena teatrale “coincide totalmente con la relazione complementare tra attore e spettatore […] essa è la soglia stessa della esperienza antropologica iscritta nell’esercizio della parola, soglia nella quale siamo tutti al tempo stesso attori e spettatori, fruitori e complici, seduttori e sedotti” (da La tenda. Teatro e conoscenza di Carlo Sini e Antonio Attisani)
Nell’arte drammatica si rivela il fondamento di un’educazione a una convivenza umana possibile, il cui esito sia la felicità, in tutta la sua estensione – dall’esperienza del sublime a quella corporea.
(2, continua)
3. Una nuova pedagogia: creare un corpo-teatro
Che cosa impedisce di capire che la poesia, la musica (da μουσικη, mousiké, l’arte delle Muse), ovvero la composizione, non di nozioni, ma del nostro modo di stare al mondo è il problema politico dell’educazione?
Che poi, per Antonio Attisani, è il problema del corpo – dei corpi , della loro “condizione”, il cui “guardare” istituisce un mondo, una condizione costitutiva di teatralità: “prima… c’è il corpo” (Jean–Luc Nancy), il corpo-teatro*.
È il problema delle potenzialità del corpo, dell’universalità e della versatilità delle sue relazioni e delle sue capacità, la cui “espressione” è, per la maggior parte degli individui, soggetta a una limitazione, spesso intollerabile, data da una modalità di convivenza, e da un sistema educativo appunto, che limita l’accesso alla “creatività” della vita, e genera un’enorme disuguaglianza nel suo godimento.
Come creare allora un corpo-teatro? Una pedagogia del farsi teatro del corpo? Ai fini della costruzione di un corpo-teatro, occorre indagare anche altrove, alla scoperta di tesori racchiusi nella tradizione di altre civiltà: come alla radice ṛt che, in lingua sanscrita, compone quattro fondamentali parole – rito, arte, ritmo, diritto – la cui compresenza in ogni situazione delimita il senso del governo della vita, di sé e degli altri, e la cui mobilitazione è in grado di scongiurare il caos – il “casino cosmico” – la complessità, altrimenti ingovernabile, del mondo.
È dunque necessario imparare a “fingere”, come fa il grande attore, non a “simulare”, e cioè alla lettera “fare figure”, “incorporare” invenzioni, creare immaginazioni, per pervenire alla progettualità riflessiva, consapevole della nostra convivenza?
* L’etimologia della parola teatro ci riporta alla radice th- da cui il greco ϑεάομαι (theaomai) = io guardo, io sono spettatore. Dalla stessa radice deriva anche il verbo greco θεωρεω (theoreo) = osservare, comprendere, intendere (da cui la parola teoria)
(3, continua)
4. Il teatro: un gioco di passioni, un movimento del pensiero
L’essere attori – tutti attori – è, per Antonio Attisani, un’istanza politica. Ma per quale “teatro”? Un teatro come «gioco di passioni», che affonda «le sue radici nella ricerca di sé stessi», che fa della «dinamica delle passioni» – un entrare dentro noi stessi attraverso gli altri – un criterio per interpretare il mondo.
E, al riguardo, non è possibile ignorare che, in particolari contesti sociali di dominio, la condizione dell’“oppresso” reclama un accrescimento della libertà individuale – appunto, la consapevolezza che le emozioni sono istanze profondamente sociali, sono di natura politica.
Per far fronte alla complessità del vivere, al «grottesco della vita» – lo squilibrio, la sproporzione tra il sublime e il volgare, tra il grandioso e il meschino, tra il tragico e la farsa – non basta un teatro che sia «trasmissione di idee»: «l’dea non vale niente… è merda!» Quello che conta, per Antonio Attisani, è il «movimento del pensiero» per un teatro che si fa gnosi, si fa «conoscenza per mezzo dell’esperienza», nella messa in gioco di sé come “essere attore”.
(4, continua)
5. Fare politica: la formazione del corpo-teatro
«Che cosa ci impedisce di desiderare una socialità diversa da quella che non ci piace?» – è la domanda di Antonio Attisani.
La finzione teatrale che è «pensiero all’opera», “rappresentazione” di una forma di vita, offre la possibilità di partecipare a un’esperienza reale senza doverne subire le conseguenze. È un esperimento sulla verità delle passioni umane e, secondo Aristotele, è fonte stessa di godimento, anche del terribile della vita, è esperienza del piacere, di un piacere che si dà appunto come conoscenza.
Un’educazione in cui «per ognuno sia possibile farsi il proprio corpo-teatro non va d’accordo con la modernità, non va d’accordo con la fabbrica…», anzi, presuppone l’invenzione di un mondo diverso senza però prefigurare un’utopia. Al contrario. Una pratica di costruzione del corpo-teatro, come azione psico-fisica quotidiana di consapevolezza di sé, «qualcosa si produce», per contagio, una cosa piccola; ancora resta non risolto il problema di come trasformare il desiderio individuale di cambiamento in esigenza, in una pratica collettiva, politica.
(5, continua)
6. In scena, a teatro e nella vita quotidiana
A teatro quel che accade in scena è un laboratorio esistenziale. Il teatro consiste appunto in ciò che «manifesta la “presenza in transito” sulla scena degli attori», un tempo e uno spazio in cui «si consuma un’esperienza di vita… nella parte dell’attore».
Il teatro come «esperienza di vita», un’esperienza extra-ordinaria rispetto alla vita quotidiana, è ciò in cui consiste il potenziale politico dell’arte teatrale, è la sua “differenza”, da perseguire.
Quel che conta di più, per Antonio Attisani, è «l’incidente esistenziale di quel che sta in scena», un apprendimento che funziona in base all’«ascolto» – un’esperienza dell’alterità; è un «lasciare entrare quel che viene dall’altro» dentro il proprio sistema di vita. Per questo, e non per un suo «progetto di significazione» (di intenzioni, di idee), il teatro è conoscenza, un’espansione del proprio repertorio comportamentale, che accresce la capacità di governare il processo della vita quotidiana.
Ma il teatro, quel che va in scena, senza l’osceno – quel che sta fuori dalla scena, la vita tutta – cosa sarebbe?
(6, continua)
7. Il teatro, un’intensificazione della vita
Il teatro è un’intensificazione della vita? La risposta è sì se si ripercorre la lezione aristotelica dell’arte drammatica*, a partire dall’”osservare” quell’evidenza, così immediata, che sono le passioni umane – quell’“essere appassioni” che è la nostra peculiare modalità di stare al mondo, un “patire” che confligge con l’immagine di un soggetto “padrone di sé”, la cui presunzione è così dominante.
Un’osservazione di sé che equivale al principio buddista della disidentificazione – in una domanda: Che cosa è io? – per potersi sottrarre all’immobilità tirannica dell’Io, all’adesione immediata dell’esperienza mentale – della passione e del desiderio – e potersi pensare invece come soggetto in continua costruzione. Anche, e ancora sempre, davanti al «poco tempo che resta».
Ma in fondo, e vale per ogni età, perché mai dissipare la vita in azioni vane e inutili, anziché orientarla in funzione della domanda: di che cosa avere voglia davvero?
* Vedi il video: 2. Siamo tutti attori – con Antonio Attisani – Aristotele e l’arte drammatica come fondamento dell’educazione.
(7, fine)
8. Siamo tutti attori – Momento conviviale 1
Antonio Attisani: – Capite quant’è rivoluzionaria questa rilettura del vecchio [Aristotele]? Pensate che cos?è la scuola oggi… E invece una scuola che privilegiasse il canto, la musica, la danza, l’osservazione, l’improvvisazione dovrebbe essere completamente ripensata… Una roba completamente diversa, una rivoluzione inconcepibile.
9. Siamo tutti attori – Momento conviviale 2
Béatrice Louise Borsa: – E l’entusiasmo in tutto questo [il teatro come gioco di passioni] come “dio dentro”?
Antonio Attisani: – Ah beh sì, capita, Quando canti bene, sei entusiasta. In questo senso anche la felicità diventa una nozione, una nozione solida.
10. Siamo tutti attori – Momento conviviale 3
Renato Tomba: – Questo modo di essere attori nel mondo come ci rende? Cosa ci fa diventare?
Antonio Attisani: – Più autentici.
R.T.: – Ed essere autentici significa?
A.T.: – Presentarsi ad altri.
R.T.: – Ma ci fa sentire più sensibili…?
A.T.: – No, è un godimento… è un godimento a tutto campo.
11. Siamo tutti attori – Momento conviviale 4
Daniele Ettorre: – Siamo tutti attori, alla fine, è una presa di coscienza di sé, una consapevolezza… Mentre, quando ho letto il titolo [della cena], pensavo a livello negativo siamo tutti simulatori. Invece no, è un auspicio.
Antonio Attisani: – No dice: rendiamoci conto che siamo tutti attori, cerchiamo di essere buoni attori, invece che cattivi attori.