Che potere è quello che nega spazi e tempi alla “produzione” di socialità?

È possibile una via di uscita da un “potere” che “disciplina” a condizioni materiali di vita, che di fatto espropriano spazio e tempo all’espressione della corporeità nella sua esistenza individuale? La socialità diffusa delle nuove tecnologie digitali realizza un esteso processo di formazione di individui, che impedisce, per Giuseppe Dambrosio, il riconoscimento della reciproca socialità, della storicità delle relazioni come costitutive del vivere insieme, e dell’idea stessa di “pensiero collettivo”.

Se la modalità di aggregazione sociale – magari relegata dietro a uno schermo –  assoggetta i comportamenti individuali, in particolare nelle nuove generazioni, a finalità di consumo, e fa della creazione di stili di vita la vita stessa, difficilmente diviene possibile una riflessione su come funziona il mondo, e quindi su qual è la propria condizione o posizione nel mondo.

Occorre dunque chiederci come funziona oggi il “potere”. Non si tratta di una pura astrazione. Quindi occorre chiedersi come il potere si trasforma in dominio sulla vita degli individui, e proprio in quanto ne impedisce la “produzione” di socialità.

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