Dov’è la potenza di agire collettiva per “rompere” l’armonia (che non c’è) del mondo?

Che cos’è una potenza d’agire collettiva? Ma come attivare quel “senso del possibile”– un fare in comune – al fine di promuovere comunità cooperanti, a dispetto del fatto che oggi la vita individuale si consegna all’irrilevanza come immagine speculare di un ordine sociale così pervasivo da imporsi come un’ineluttabile necessità? La possibilità di un’“autonomia” dell’agire politico – anche quando “antagonista” – è già sempre ricompresa, quando non repressa, in una sorta di “armonia prestabilita” di un ordine esistente del mondo?

Eppure, negli anni ’70, sembrò facile rompere quell’armonia del mondo – che in realtà non esiste, perché, come dice Gianfranco Pancino, non c’è alcuna armonia là dove «le disuguaglianze creano un profilo difforme del mondo».

C’è oggi ancora spazio per un progetto di lotta comune per il “possibile”, per il farsi di una “comunità diversa”? Perché, in effetti, la ricerca di spazi comuni di interesse, di vita, che non voglia mirare soltanto a garantire quei beni comuni, quei vantaggi, che altrimenti sarebbero fuori portata se il singolo individuo operasse da solo e in isolamento, richiede in ultima istanza – come si diceva una volta – di applicare il cambiamento al legame sociale stesso, a ciò che tiene insieme la società.

Intanto, si tratta di cominciare a guardare a quei “movimenti effimeri” di mobilitazione, sorti in varie parti del mondo, come le primavere arabe, soprattutto, in Tunisia, Occupy Wall Street a New York, degli Indignados in Spagna o dei Gilets jaunes in Francia. La loro rilevanza, per Gianfranco Pancino, sta proprio nel processo che li attiva, il “mettersi insieme” nel tentativo di costruire esperienze di democrazia diretta, di dare espressione a una democrazia più partecipativa.

Ma, in assenza di un tale orizzonte di senso, non ci resta che formulare la facoltà di un individuo di incidere sulla realtà altrimenti che nei termini del frammento di Eraclito, secondo cui «il carattere di un uomo è il suo destino», destino che, a leggere l’autobiografia di Gianfranco Pancino, una zingara, dalla lettura della mano, sa già anticipare?

(2, continua)

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