La giustizia climatica, tra educazione ambientale e conflitto sociale

Cosa può fare l’individuo, per un cambiamento effettivo, ai fini della soluzione del problema della crisi ecologica? La risposta a questa domanda è non pensarsi come individuo (James Hansen). Questa soluzione “individualista” al problema della crisi climatica è il problema.

Anche là dove è in potere dell’individuo fare qualcosa, come la raccolta differenziata, l’efficacia di questa scelta non è in realtà indipendente da una dinamica industriale e da una politica di gestione dei rifiuti. Se l’industria del riciclo permane entro una dinamica di “crescita”, ai fini del processo di valorizzazione capitalistica, la raccolta differenziata resterà incapsulata in una dinamica di incentivazione, e non di riduzione, della produzione dei rifiuti.

È un sistema che si muove secondo una meccanica complessiva (il mercato) che sta al di sopra della scelta, per quanto virtuosa, dell’individuo, e ne limita la possibilità di orientare il cambiamento, soprattutto, se rimane desiderabile perseguire uno stile di vita improntato al modello di una società consumistica, come incentivo all’emancipazione dalle “miseria” delle condizioni materiali, in un’ottica, per quanto illusoria, di riduzione delle diseguaglianze sociali. Come allora uscire da questo schema di impostazione del problema?

Per Emanuele Leonardi la sola diffusione di una educazione ambientale per accrescere la consapevolezza delle soggettività individuali non può bastare. Lo spazio della battaglia non è solo culturale, il conflitto sociale è il terreno in grado di generare un cambio di scenario nel dibattito pubblico, un’apertura di consenso, di accordo sociale per una politica della  transizione ecologica – a partire dalla questione fiscale – dal basso. È il conflitto sociale a far crescere la civilizzazione del dibattito politico su una questione – la giustizia sociale – che coinvolge tutte le dimensioni della vita.

(2, continua)

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