L’educazione diffusa: oltre l’aula e la “testa ben fatta”

C’è una pedagogia scomoda per il sistema di potere capitalistico (Luis Bonilla-Molina). Che, per Giuseppe Dambrosio, è quella che mette in contatto l’aula scolastica con il contesto socio-politico e geopolitico del mondo reale: una pratica pedagogica che, di fronte alla sfida della complessità del mondo, non limita l’educazione alla prevalenza logico-cognitiva dell’esperienza di apprendere – la “testa ben fatta” (Edgar Morin) nell’organizzazione del sapere.

L’educazione diffusa fa, invece, dell’esperienza corporea, della disposizione sensuale alla convivenza, la base dell’apprendimento. È una rivoluzione del canone culturale di una società che sminuisce l’emozionalità del vivere, come di qualcosa che nega la razionalità; al contrario, l’educazione diffusa è la proposta di una società in grado di farsi carico delle potenzialità espressive e creative (pratiche, simboliche e spirituali insieme) di giovani soggettività in crescita.

L’educazione diffusa è l’assunzione della responsabilità politica di fare dell’educazione un esercizio di autentica cittadinanza attiva – una scuola pubblica, gratuita, di tutti e per tutti. Da qui la necessità di ripensare il problema dello svantaggio culturale, la cui matrice sociale, secondo la lezione di don Lorenzo Milani, chiama in causa anzitutto la questione della lingua, dell’educazione linguistica – “perché è solo la lingua che fa uguali”.

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