È, lo smartphone, un dispositivo portatile, dalla tecnologia avanzata, dotato di un’interfaccia – uno schermo tattile – facile da usare, versatile nelle sue prestazioni. Nella sua attrattiva utilità sta il suo potere. Insomma, è quasi impossibile farne a meno.
Nella storia recente dei dispositivi “intelligenti” portatili, è il telefono cellulare, all’inizio degli anni ’90, a segnare una discontinuità. Per la prima volta l’utente di un dispositivo di comunicazione, associato per una scelta politica all’identità del suo possessore, presta il consenso alla tracciabilità della propria mobilità personale. È un cambio di paradigma: negli ultimi trent’anni, tutti a priori, senza eccezione, sono oggetto di “sorveglianza”, nel senso che i dati personali sono registrati e archiviati per un tempo potenzialmente indefinito.
Questa “spontanea” cessione di dati personali, attraverso l’adozione oggi dello smartphone, per Juan Carlos De Martin, non deve farci dimenticare, che alla facile decisione di portare con sé uno smartphone, che equivale alla sua necessità – per cui «è difficile non decidere di averlo» –, corrisponde la forzata condivisione dei dati personali. Ma è proprio di questa sua funzionalità – la generazione di dati – che la grande maggioranza dei suoi utenti manca di consapevolezza.
Sotto questo aspetto, lo smartphone è una “macchina opaca”: quali sono infatti i dati estratti, dove vengono depositati e, soprattutto, quali sono le implicazioni, anche temporali, della loro ampia e diffusa distribuzione?
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