Norme “rivoluzionarie” di cittadinanza: bisogni individuali e mobilitazione sociale

La disabilità non è più una colpa, uno stigma sociale. “La disabilità” è – sulla base di quanto stabilisce la Convezione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (2006) – il risultato dell’interazione tra persone con menomazione e barriere comportamentali ed ambientali, che impediscono la loro piena ed effettiva inclusione partecipata nella società su base di uguaglianza con gli altri.

Questa definizione sulla disabilità è una “messa in crisi” del concetto tradizionale di persona?  È un cambiamento di paradigma, una “rivoluzione” nel modo di guardare all’essere umano, e ai suoi bisogni? Il concetto di persona –  l’affermazione cioè della sua universalità, dell’essere umano in generale come principio – è la forma di soggettività che sta alla base della visione culturale, istituzionale, giuridica della società borghese dall’Illuminismo in poi contro l’Ancien Régime, fino alla sua estensione universalista come diritto all’inclusione, alla “cittadinanza universale”.

La rivendicazione del diritto alla personalità non è tanto il problema. Il problema è credere che questo sia sufficiente. Una rivendicazione che mira al riconoscimento dei bisogni individuali, come dimostra l’esito della mobilitazione del movimento dei disabili fin dagli anni ’80 in Inghilterra, può svolgere una funzione progressiva; ma se questa posizione si radicalizza finisce per ricadere in una visione individualista, e finisce per disconoscere che la semplice sussistenza di una pluralità di individui che patiscono la restrizione dei loro bisogni è indice della loro infelice e sofferta subordinazione a quelle condizioni, di natura sociale e storica, che ne limitano l’espressione. La rimozione di quelle limitazioni può essere solo l’esito di una mobilitazione sociale, il risulto dello sviluppo dei rapporti di forza collettivi in un determinato momento storico. La sola conquista legislativa di un diritto non è ancora la sua reale applicazione.

Ora, però, in effetti, la Convenzione sposta l’attenzione da una visione “sostanzialista” del concetto di persona, a una visione “relazionale” – sull’interazione tra bisogni dell’individuo e la progettazione sociale del contesto ambientale; è uno spostamento di attenzione sul fatto che il problema delle limitazioni dei bisogni della vita individuale, come osserva Gianfranco Pancino, è l’effettiva generalizzazione del diritto al loro reale godimento. Un problema che riguarda tutti, e non solo la persona con disabilità.

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