Quale coevoluzione tra essere umano e macchina digitale?

La prospettiva è rassicurante. A progettare, produrre e diffondere la tecnologia, per poi farne un uso “intelligente”, è pur sempre l’essere umano: la relazione uomo-macchina digitale è in fondo pensabile nei termini di un paradigma del tipo “creatore-creazione”. Ma se il problema che si pone è quello di come “umanizzare” la tecnologia, allora il problema non è più così banale. Anzi, può risultare inquietante. Perché, là dove la tecnologia si presenta manifestamente come autonoma dal suo creatore, come è ad esempio per le macchine “intelligenti” capaci di comportamenti originali e funzioni emergenti, significa interrogarsi su quale sia il nesso relazionale che si stabilisce tra due entità relativamente indipendenti una dall’altra.

In linea di massima, per Juan Carlos De Martin, significa appunto sviluppare in maniera consapevole norme sociali per il suo utilizzo. Il problema sta in effetti nella nostra capacità di comprendere come, in che modo, nella relazione essere umano, tecnologia e contesto culturale che si genera insieme alla tecnologia – così come è stato per la tecnologia del libro a stampa – ci troviamo immersi in una vera e propria coevoluzione, e fino a punto questa immersione interessa la nostra stessa evoluzione biologica o organica.

Nel caso dello smartphone, una cosa è certa. Nella sua progettualità, l’obiettivo principale di chi lo progetta è di «cerca[re] di condizionare il nostro comportamento, di prevedere il nostro comportamento, e la cosa migliore per prevederlo è condizionarlo». In questo senso, per alcuni studiosi, per la tecnologia digitale dello smartphone si può parlare di “de-umanizzazione tecnologica”, di una sorta di “diminuzione” della complessità umana. (cfr. Miguel Benasayag, Il cervello aumentato, l’uomo diminuito, Erikson, 2016)

Ma intanto è bene, per Juan Carlos De Martin, cominciare a chiederci: cosa c’è dopo lo smartphone? La direzione sarà quella di una maggiore integrazione tra macchina digitale e essere umano, e il suo essere corporeo? E ancor prima, per il nostro fare, per il nostro vivere in società, quali alternative all’uso dello smartphone occorrerà preservare? Perché la possibilità di fare una cosa solo più con lo smartphone, se lo smartphone non ce l’ho o non funziona o Internet non c’è, «è proprio una fragilità sistemica. È un po’ come, una volta messo l’ascensore, togliere le scale». Si finisce per sacrificare all’efficienza di una tecnologia la robustezza dell’intero sistema.

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