Una provocazione per il giovane curatore

Nella storia dell’Occidente, in prevalenza, l’attività pratica, puramente tecnica, è stata soggetta a una sorta di svalutazione. Irrilevante più spesso, quando non estranea dal compimento di fini più elevati per la vita umana.

In epoca moderna, con l’artista rinascimentale, il fare artistico sembra sottrarsi a questo destino. E, per quanto non esista un’arte senza tecnica, noi finiamo per attribuire una differenza radicale all’attività artistica rispetto al lavoro artigianale, e alla pratica lavorativa. Resta il fatto, per parafrasare René Magritte, che l’idea di un’opera d’arte non è ancora un’opera d’arte.

È giustificata questa differenza? Dove risiede? Dentro l’individuo o nella società?
E, a sua volta, la spinta che obbliga all’attività espressiva ha qualcosa da dire su come il riconoscimento della pratica lavorativa si struttura nella nostra società?

Eppure, ad ascoltare Stefano, scopriamo che quel che ci mette nel suo lavoro, la «cura» del suo fare, con il suo impegno di curatore, con la sua aspirazione e le sue difficoltà, è rilevante per tutti noi proprio in relazione a questi importanti temi più generali, non solo per il passato e per il presente, ma anche per il futuro.

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Video appartenente alla cena: