Vite alienate: tra responsabilità etica e ipotesi rivoluzionaria

Nella pandemia, una «situazione al limite», il mondo capitalistico sembra mostrare la sua vulnerabilità, e l’illusoria ideologia della sua «perfezione». Tuttavia, il suo potere di perpetuare l’illusione che questo società sia la sola società possibile non sembra venire meno.

La realtà non può essere altrimenti, è una parvenza che fa di noi dei «soggetti obbedienti».

È possibile uscirne? È ancora possibile una «rivoluzione» – evento politico che ha dato origine alla modernità? È possibile, nelle parole di Massimo Cappitti, una rivoluzione come «cambiamento radicale di sguardo sulle cose»? Qual è la tonalità emotiva di fondo che vincola le nostre soggettività all’immagine della vita sociale come a una realtà del mondo insuperabile?

La lettura di Günther Anders della società ci fornisce uno sguardo sulla costruzione di un soggetto che non si riconosce più nella realtà, che è lui stesso a produrre, come a una realtà propria – è uno sguardo sulla costruzione sociale di «vite alienate».

Non possiamo chiedere troppo di più, per il presente. Ma ci aiuta a tenere alta l’attenzione di fronte alla «disumanità dell’esistente», e a riflettere che il male nasce proprio dal disattendere la nostra capacità di giudizio – la nostra capacità di saper «pensare ampio» (I. Kant) – nell’esercizio di una responsabilità etica sui modi della nostra convivenza.

(3, continua)

Video appartenente alla cena: