Davvero oggi l’industria del turismo non fa altro che produrre una «spettacolarizzazione del mondo»? In effetti, un po’ in tutto il mondo, i luoghi diventano pura scenografia, valorizzazione dello stereotipo, standardizzazione dell’esperienza geografica. Ma davvero la visibilità dei luoghi si riduce a “simulacro” (Jean Baudrillard), a spettacolo di pura evasione, dove il senso di un luogo è dato dalla sua costruzione simbolica di simulazione immaginaria, operata dai media, in sostituzione della stessa realtà spaziale?
Il senso dei luoghi può essere scisso dalle rappresentazioni che vi si sedimentano? Per Paolo Furia, non importa che la scelta rappresentazionale di una realtà spaziale sia cartografica, convenzionale, pittorica o anche turistico-commerciale; il fatto è che la sua visibilità si fa attraverso la rappresentazione simbolica, che come tale contribuisce a definirla come esperienza dell’«umano appaesamento, un’esperienza culturale.
Il fatto che ciò che vive prima “in immagine” si trasferisca poi nella realtà non è un’invenzione della società capitalistica. E questo ci obbliga a interrogarci sullo statuto dell’immagine, e sul suo potere, nella storia dell’Occidente – un potere che non consiste solo nel rappresentare una realtà spaziale che sta fuori. Realtà essa stessa, l’immagine contribuisce a produrre la realtà che rappresenta; nel renderla sensibilemnte presente essa ne accresce la visibilità, e il senso.
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