In arrivo / Cena Nº87 - Mercoledì 20 Settembre 2023

Spaesamento. Esperienza estetico-geografica

con Paolo Furia

Spaesati. Che cosa significa sentirsi spaesati? Lo spaesamento e il suo opposto, quello che con un neologismo ormai corrente nella letteratura paesaggistica chiamiamo “appaesamento”, costituiscono due modi fondamentali, in un inesauribile rinvio dell’uno all’altro, di vivere l’esperienza geografica dello spazio. Appaesamento significa sentirsi a casa, spaesamento significa non sentirsi a casa in un luogo.

Dopo l’apparente fine delle scoperte geografiche, la potenza pervasiva dei media digitali ci consegna davvero una rappresentazione del mondo tranquillizzante e domestica, che ci fornisce l’illusione di padroneggiarlo, di esservi completamente appaesati? Succede invece che lo spaesamento sia sempre dietro l’angolo; uno smarrimento dovuto ad un blackout satellitare, ma anche una chiusura dei confini, un lockdown sanitario, una guerra o eventi naturali catastrofici, destinati a rendere i luoghi impercorribili o irriconoscibili.

Dietro alla rassicurante superficie si nasconde un mondo di esperienze che la standardizzazione del gusto e il turismo di massa trascurano. Con la “guida” di Paolo Furia* è proveremo a considerare lo spaesamento come un momento di interruzione della routine, che rende possibile una rigenerazione dello sguardo. Solo attraverso lo spaesamento possiamo imparare a guardare davvero.

* Paolo Furia è ricercatore in estetica filosofica presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università degli Studi di Torino. Si occupa di filosofia della geografia, estetica ambientale e ermeneutica filosofica. Ha ottenuto il dottorato nel 2017 e ha pubblicato articoli in italiano, inglese e francese e tre monografie sul rapporto tra estetica e spazio, sul concetto di altrove, sul tema del paesaggio e sullo spaesamento.

Copertina: Affioramenti, progetto fotografico © Gianfranco Roselli

1. Spaesamento: per pensare lo spazio che abitiamo

In un mondo in cui l’immagine genera un senso di “presenza” di qualsiasi spazio – a distanza –  della terra, è ancora possibile l’esperienza dell’altrove? E cioè quell’esperienza dello spaesamento che “rappresenta l’impatto dell’altrove sulla nostra sfera sensibile”, un impatto che è in grado di stupire, di mutare lo sguardo, di imprimere una nuova direzione alle nostre vite, di generare nuove idee e una visione di futuro. O, non invece, l’immagine si rivela un surrogato della realtà geografica, del radicamento spaziale, territoriale del nostro stare al mondo?

Per Paolo Furia, il tema dello spaesamento, nonostante la forte copertura mediatica dei luoghi, e forse proprio per quello, è tutt’altro che esaurito. Esiste cioè ancora la possibilità di sperimentare l’alterità (l’altrove) e di viverla come una ricchezza del soggetto dell’esperienza, nel presupposto di essere disponibile a non lasciarsi solo guidare dalla dominanza dell’immagine.

Com’è allora possibile fare l’esperienza dello spaesamento nell’epoca della globalizzazione, dell’instagrammabilità del mondo? E scoprire così quella  “svolta spaziale” (spatial turn), che fa dell’esperienza geografica un’esperienza estetica in grado di aprire il nostro stare al mondo a una nuova dimensione di conoscenza.

(1, continua)

2. Spaesamento: la diversità dei luoghi, un’esperienza estetica

In che misura la vita degli individui è influenzata dalla realtà spazio-temporale della loro esistenza? È possibile parlare di una piena subordinazione (determinismo geografico) o, al contrario, di una totale indipendenza (essenzialismo culturale) della cultura – della creatività umana – dagli ambienti naturali in cui vivono?  In termini più generali, si tratta della questione di un secolare dibattito relativo al rapporto fondamentale tra natura e cultura.

Per Paolo Furia, la questione del rapporto tra umanità e spazio terrestre può essere declinata in modo più specifico e circostanziato, se si parte dall’esperienza dei “luoghi”, da quell’esperienza che intercorre tra umani, nelle loro diversità, e spazi terrestri, nelle loro varietà. Ed è proprio da questo incontro che nasce la duplice esperienza dello spaesamento e dell’appaesamento.

Un’esperienza per cui, a partire dall’impatto estetico del “luogo”, di un pieno coinvolgimento sensoriale ed emotivo, diviene fondamentale chiedersi cosa significhi oggi, per gli esseri terrestri che siamo, fare esperienza del mondo, e in particolare fare l’esperienza del viaggio, nella riscoperta dell’altrove.

(2, continua)

3. Spaesamento e appaesamento, due direttrici dell’esperienza umana

In cosa consiste l’essere al mondo dell’umano? Per Paolo Furia, l’esperienza geografica è soggetta a «due direttici formali – due orientamenti trascendentali – dell’esperienza umana»: l’appaesamento e lo spaesamento, sono due movimenti interconnessi, e in qualche misura reversibili, del nostro entrare in rapporto a uno spazio geografico.

Che cosa regola la via di accesso all’esperienza, condivisibile e comunicabile, di uno spazio geografico? La reazione affettiva che l’esperienza vissuta dello spazio geografico suscita  – il senso di appartenenza o distanza, i processi di appaesamento o di spaesamento – in che misura interviene nella definizione di uno spazio geografico come “luogo”, e del nostro stesso umano abitare?

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4. La “forma geografica”: espressività e rappresentazione degli elementi del mondo

Come definire la materia geografica, della cui visibilità facciamo esperienza? Nel fare riferimento a questa dimensione oggettiva dell’esperienza, è opportuno ricorrere all’espressione di forma geografica: «un’associazione di elementi che stanno nello spazio, naturali o antropici, un’associazione organica», organizzata e disposta in modi specifici e riconoscibili, al punto che ad essa si assegna culturalmente un nome.

C’è un’espressività propria della forma geografica. Il punto è,  per Paolo Furia, che l’esperienza estetica che ciascuno se ne fa non è solo un costrutto culturale e non è solo un fatto di sensibilità individuale, ma è il segno di una potenza performativa autonoma della forma geografica. È una realtà che si manifesta, che si trasferisce nella rappresentazione e che organizza l’esperienza del soggetto, un’esperienza che a sua volta solo può essere restituita per via semiotica, in forma cioè di rappresentazione.

Qual è allora la funzione della forma geografica nella costruzione della nostra esperienza?

(4, continua)

5. Il senso dei luoghi, tra realtà spaziale e sua rappresentazione

Davvero oggi l’industria del turismo non fa altro che produrre una «spettacolarizzazione del mondo»? In effetti, un po’ in tutto il mondo, i luoghi diventano pura scenografia, valorizzazione dello stereotipo, standardizzazione dell’esperienza geografica. Ma davvero la visibilità dei luoghi si riduce a “simulacro” (Jean Baudrillard), a spettacolo di pura evasione, dove il senso di un luogo è dato dalla sua costruzione simbolica di simulazione immaginaria, operata dai media, in sostituzione della stessa realtà spaziale?

Il senso dei luoghi può essere scisso dalle rappresentazioni che vi si sedimentano? Per Paolo Furia, non importa che la scelta rappresentazionale di una realtà spaziale sia cartografica, convenzionale, pittorica o anche turistico-commerciale; il fatto è che la sua visibilità si fa attraverso la rappresentazione simbolica, che come tale contribuisce a definirla come esperienza dell’«umano appaesamento, un’esperienza culturale.

Il fatto che ciò che vive prima “in immagine” si trasferisca poi nella realtà non è un’invenzione della società capitalistica. E questo ci obbliga a interrogarci sullo statuto dell’immagine, e sul suo potere, nella storia dell’Occidente – un potere che non consiste solo nel rappresentare una realtà spaziale che sta fuori. Realtà essa stessa, l’immagine contribuisce a produrre la realtà che rappresenta; nel renderla sensibilemnte presente essa ne accresce la visibilità, e il senso.

(5, continua)

6. L’interpretazione dei luoghi: realtà e temporalità degli spazi geografici

Il tempo di una forma geografica è il presente. Come “in sogno” le immagini, così gli elementi spaziali hanno una loro presenza autoevidente, chiara e distinta. Il presente di uno spazio geografico è però insieme il risultato di una stratificazione di elementi nel tempo, che colloca l’esistenza terrestre degli umani entro un ordine temporale.

La presenza dei luoghi si caratterizza per l’originale combinazione di temporalità diverse: è la potenza dello spazio stesso di cristallizzare il tempo, di tenere insieme i tempi della geologia e quelli della storia, quelli della vita sociale e quelli della vita vissuta dell’individuo. La realtà spaziale, da una parte, è il prodotto dell’azione umana, dall’altra, a sua volta modella, vincola le pratiche, i valori e i ritmi di un mondo di vita, che da quella realtà spaziale sempre dipende. In questo senso c’è come una “relativa autonomia delle forme geografiche rispetto alla variabile temporale: esse non sono solo il prodotto del tempo, ma contribuiscono a dare forma al tempo – al tempo della natura e al tempo della storia.” (Paolo Furia)

La spazialità vissuta, l’immersione nei luoghi – con i loro strati di cristallizzazione del tempo – è la modalità del nostro essere terrestri. E forse non solo, lo è anche della comprensione che siamo in grado di esercitare sulla realtà stessa. La natura della nostra essenziale facoltà di interpretazione simbolica e linguistica del mondo ha forse la sua radice nel “movimento” della nostra esperienza dello spazio in quanto spazio, nella sua materia e nelle sue forme autonome, che chiamano in causa la sfera sensibile, affettiva e corporea dell’essere umano.

La stessa espansione immaginativa della nostra mente – la sua creatività (o stupidità) – non è forse essa stessa un’eredità terrestre, un’eredità della terra che abitiamo, come modo di apprendere a vivere, a stare nel mondo?

(6, continua)

7. Dall’esperienza estetica delle singolarità geografiche all’Antropocene

Per Paolo Furia, lo spazio è la vera origine dell’esperienza estetica. Ma cosa vuol dire riscoprire il significato estetico dello spazio? E come questa riscoperta si riflette nella considerazione dell’opera d’arte? Può essere l’opera d’arte ancora immaginata come indipendente – il museo o la galleria d’arte – dalle interazioni vitali presenti nello spazio che abitiamo?

Da Alexander von Humboldt, un naturalista, geografo e botanico tedesco in poi l’esperienza estetica è esperienza della singolarità, la cui conoscenza – la comprensione per cui una cosa è quello che è – è possibile solo attraverso l’esperienza sensoriale, e cioè l’estetica. Assegnare allo spazio, e quindi alle singolarità geografiche, un valore estetico significa quindi restituire allo spazio la possibilità di cambiare il nostro vissuto sensibile, e soprattutto di insegnarci qualcosa.

«L’esperienza estetica non è fine a sé stessa ma è una porta per l’apprendimento». L’estetica è lo strumento che ci permette di “apprezzare” la singolarità – quella di un singolo esemplare di pianta, di un singolo esemplare di animale o di un singolo esemplare di essere uomo (Johann Wolfgang Goethe); è un accesso conoscitivo corporeo, sensoriale e affettivo insieme.

Il problema ecologico – il problema dell’equilibrio della biosfera segnata dall’era dell’Antropocene, che richiede certo altri strumenti conoscitivi – è davvero oggi separabile dalla visibilità di un ordine del mondo che non sappia tenere insieme la questione del vero (un ordine conoscitivo) con quella del bello (un ordine estetico) e del bene (un ordine morale)? È la questione della “classicità”, della visione di un ordine cosmico, ma di fronte alla crisi climatica possiamo davvero permetterci di mantenere un modello estetico di bellezza – come il “pittoresco” per il paesaggio, la cui funzione oggi è standardizzante – scisso dai valori di sostenibilità ecologica e dai valori della giustizia sociale e, soprattutto, dall’espressione, dalla bellezza della singolarità degli ambienti terrestri?

(7, continua)

8. Per un Nuovo Illuminismo: la felicità è la posta in gioco dell’appaesamento (della specie umana) sulla terra

Le attuali sfide globali – il rischio della guerra atomica, le future pandemie e il riscaldamento climatico – chiamano in causa la specie umana come specie, nonostante le differenze geografiche. Anzi, proprio in forza di quelle differenze, si tratta di andare al di là di una definizione (metafisica) dell’umano, e parlare degli esseri umani nell’ambito della loro storicità naturale, della loro storia evolutiva come specie.

E a partire da qui, si tratta di assumere il tema dell’appaesamento fino in fondo: «l’appaesamento è lo sforzo, la direzione fondamentale dell’esperienza del soggetto per trasformare la terra nella propria casa». Una sfida globale che ci restituisce, per Paolo Furia, all’orizzonte cosmopolita dell’Illuminismo.

Ma come definire un Nuovo Illuminismo di fronde alla sfida della sopravvivenza ecologica? Di quale “razionalità” abbiamo bisogno oggi, là dove la questione della felicità è diventata una questione politica globale, ed è la posta in gioco dell’appaesamento – del difficile equilibrio tra appaesamento e spaesamento, di un modo di stare al mondo dell’umanità?

(8, fine)

9. Spaesamento. Esperienza estetico-geografica – Momento conviviale

Béatrice Louse Borsa: – L’impatto di vedere la terra dallo spazio…
Paolo Furia: – È talmente potente vederla – sai, vedere è un atto violento […] – che da questo discende la possibilità di trattare la terra come sfera…, quindi come qualcosa che può essere tutto sommato manipolata.