La tecnologia di elaborazione dei dati, la computazione, è necessaria “per la nostra sopravvivenza e per la nostra capacità di trarre senso dal mondo. […] Occorre quindi concepire nuove alleanze con gli agenti computazionali” – le persone, gli animali, le piante, le foreste, gli edifici, le città, le comunità, le aziende, i territori, i virus – “per abitare il mondo in nuove sensibilità, in visualizzazioni, luci, suoni, in nuove tattilità”(Salvatore Iaconesi e Oriana Persico)?
La tecnologia digitale – una tecnologia che incorpora la funzione cognitiva, simbolica dell’essere umano – sta cambiando la faccia del mondo. A differenza della rivoluzione sociale introdotta dalla tecnologia della scrittura, a partire soprattutto dall’invenzione della stampa, la tecnologia elettronica, per la velocità della sua diffusione, è una rivoluzione “avvertita” nella sua portata pervasiva.
Ogni tecnologia nasce in funzione di una necessità, dal bisogno di trarre maggior vantaggio dalle possibilità dell’ambiente, per la sopravvivenza umana, e innesca processi, la cui complessità per definizione trascende l’esistenza del singolo individuo. Ma che cosa fa sì che la tecnologia della conoscenza, dell’informazione e della comunicazione – una sorta di macchina dell’intelligenza umana – sia vissuta come una minaccia, un dominio opprimente che sovrasta la “portata dell’azione” di un individuo, della sua consapevolezza?
L’innovazione tecnologica non possiede alcuna neutralità, è sempre determinata da una forma sociale entro cui si sviluppa la produzione e la creazione di ricchezza; e anzi la forma che Karl Marx indentifica con la dinamica produttiva capitalistica è una forma che fa dell’innovazione tecnologica il suo motore di sviluppo, il criterio di una rivoluzione permanente della società. È forse proprio nell’estraneità e nell’autonomia, in cui si sviluppa la creazione dell’interdipendenza reciproca, delle condizioni della vita sociale, che va ricercato quel senso di minaccia?
Quel “potere sociale” non sembra esprimere un interesse comune come una finalità di ordine superiore, ma soltanto «la generalità degli interessi egoistici», la ricerca di una soddisfazione propria, personale, indifferente a quella degli altri. E, per dirla con Davide Sisto, la rivoluzione informatica in fondo nasce in un contesto – la Silicon Valley – in cui si perseguiva «una vita da yuppy e, al tempo stesso, una vita che rincorreva il soldo facile».
È possibile promuovere un processo di consapevolezza – per una cura del mondo, un «nuovo abitare» (Salvatore Iaconesi e Oriana Persico) – gestibile dall’essere umano a misura della sua stessa socialità? La tecnologia di elaborazione dei dati, la computazione, è necessaria “per la nostra sopravvivenza e per la nostra capacità di trarre senso dal mondo. […] Occorre quindi concepire nuove alleanze con gli agenti computazionali” – le persone, gli animali, le piante, le foreste, gli edifici, le città, le comunità, le aziende, i territori, i virus – “per abitare il mondo in nuove sensibilità, in visualizzazioni, luci, suoni, in nuove tattilità”(Salvatore Iaconesi e Oriana Persico)?
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