In arrivo / Cena Nº85 - Mercoledì 3 Maggio 2023

Porcospini digitali: vicinanza e lontananza al tempo dello smartphone

con Davide Sisto

La pandemia da Covid-19 non ha eguali nella storia dell’umanità per la seguente situazione: una volta rinchiusi i nostri corpi biologici entro i confini domestici in modo da evitare il loro reciproco contagio, quelli digitali non hanno mai smesso di vagare nel mondo attraverso gli schermi degli smartphone e dei computer. In altre parole, la pandemia ha messo alla prova l’attuale mondo digitalmente integrato, evidenziando la radicale trasformazione antropologica determinata dalla rivoluzione tecnologica.

In particolare, siamo i primi esseri umani a non identificare in toto la presenza con il luogo in cui ci troviamo fisicamente. Questa situazione è alla base delle numerose metafore utilizzate dagli studiosi per descrivere la cosiddetta realtà onlife: carni digitali, case trasportabili, autobiografie culturali collettive, città digitali globali. Diventa sempre più complesso definire che cos’è un’esperienza “dal vivo”, man mano che si diffonde lo streaming e progrediscono la realtà virtuale e la realtà aumentata. Diventa altrettanto difficile comprendere il modo in cui stiamo prolungando le nostre identità nella dimensione online.

Mai come oggi sembriamo veri e propri “porcospini digitali”, se vogliamo modernizzare il famoso dilemma del porcospino elaborato da Arthur Schopenhauer. Come cambia la relazione tra la vicinanza e la lontananza? Come le tecnologie digitali ci fanno sentire tanto il calore dello stare vicini 24/7 quanto il dolore provocato dai suoi effetti collaterali?

Italo Calvino, descrivendo il nostro modo di usare il telefono, sosteneva che esso genera un “pigolio universale, che nasce dal bisogno di ogni individuo di manifestare a qualcun altro la propria esistenza, e dalla paura di comprendere alla fine che solo esiste la rete telefonica, mentre chi chiama e chi risponde forse non esistono affatto”. L’incontro con Davide Sisto*, a partire dai contenuti del suo libro Porcospini digitali. Vivere e mai morire online (Bollati Boringhieri, Torino 2022), ci mostrerà l’evoluzione di questo pensiero al tempo dello smartphone.

* Davide Sisto è assegnista di ricerca presso l’Università di Trieste. Si occupa da molti anni di tanatologia, cultura digitale e postumano. Insegna presso il Master «Death Studies & the End of Life» dell’Università di Padova e tiene laboratori di cultura cyborg e realtà aumentata presso l’Università di Torino. Per Bollati Boringhieri ha pubblicato: La morte si fa social. Immortalità, memoria e lutto nell’epoca della cultura digitale (2018) e Ricordati di me. La rivoluzione digitale tra memoria e oblio (2020).

Copertina:  Le immagine dei porcospini sono tratte da Photo by Kuritafsheen77 https://it.freepik.com/search?author=47577459&authorSlug=kuritafsheen77&format=author&query=riccio&selection=1

1. Il dilemma del porcospino: stare insieme al tempo del digitale

Conosciamo una vita altra che non sia la vita comune? Ma qual è il nostro modo di stare insieme nella società?
Per Arthur Schopenhauer, a illustrare la nostra condizione di socialità è il dilemma del porcospino: un gioco di oscillazione tra vicinanza e lontananza, fino a un punto di equilibrio, di una “moderata distanza reciproca”.

Al naturale bisogno degli altri, al bisogno di socialità, si oppone l’esperienza individuale delle difficoltà relazionali – le “repellenti qualità reciproche”, “spine” che feriscono e rendono preferibile una necessaria distanza.

Che cambiamento provoca la tecnologia digitale nella nostra socialità? La duplicazione della nostra presenza corporea in una virtuale come va interpretata? Semplice smaterializzazione – per immagine –  dell’identità corporea o  sua estensione in nuove modalità di comunanza, di presenza sociale? Cos’è che differenzia la vita online da quella offline? Una vita, quest’ultima, che può essere soggetta alla permanenza della sua registrazione, alla sua continuità anche oltre la vita corporea stessa.

(1, continua)

2. La digitalizzazione: omologazione o multi-espressività delle vite

Il 9 gennaio 2007, una data significativa: l’annuncio commerciale del primo modello di iPhone, uno smartphone la cui diffusione con lo sviluppo della rete Wi-Fi ha modificato l’accesso al mondo digitale di Internet. Non più da una postazione fissa in discontinuità ma in sincronia, in ibridazione con il mondo reale.

Quale processo di trasformazione, da allora, si è prodotte nella nostra vita quotidiana? Per Davide Sisto, una conseguenza significativa è stata quella di rendere plastica la crisi – già emersa nel ‘900 nell’ambito della letteratura, della filosofia e delle scienze umane, in particolare in antropologia – del concetto di “identità soggettiva forte”.

La digitalizzazione delle vite ha permesso di «dare corpo», come pratica quotidiana, alla sperimentazione di una identità multipla, di una molteplice espressività dell’esperienza soggettiva degli individui. Una pratica, che si sviluppa attraverso la rete – nell’area della messaggistica, dei blog, dei social media – e che presenta non poche difficoltà di gestione nella vita personale.

È ancora sostenibile la tesi di una dominante “omologazione”, soprattutto nei social media, da Instagram a TikTok, a stili, a registri linguistici della comunicazione globale? O la vita on-line offre una pratica di multi-espressività creativa, aperta a nuove esperienze comunitarie, tale da mutare il senso stesso della parola “autenticità” che si è soliti attribuire alla vita off-line? E con la registrazione on-line, la permanenza digitale delle nostre vite a quale situazione esistenziale si apre?

(2, continua)

3. Esperienza “dal vivo” in digitale: espansione della presenza e condivisione

Un device, un dispositivo personale come il cellulare a cosa serve più spesso, oggi? A replicare l’esperienza della propria presenza: l’esperienza immersiva dell’essere “qui e ora” si duplica, si archivia in un formato digitale (messaggio vocale, scrittura o immagine) che in gran parte si fa comunicazione, esperienza condivisa, in differita.

Come il fare esperienza “dal vivo” si trasforma con la sua pervasiva digitalizzazione? E come qualificare quel bisogno di condivisione, di moltiplicazione dell’esperienza, nel tempo, a distanza, con gli altri? È in discussione il senso – una perdita ontologica? – della presenza. Alla comunità dei corpi, alla loro congiunzione sensibile, sembra sostituirsi la connessione algoritmica della tecnologia digitale.

Per Davide Sisto, occorre riflettere sulla “differenza” esperienziale delle due realtà, corporea e virtuale al tempo stesso. È indubbio che la tecnologia digitale, il cui funzionamento, secondo una logica estrattiva come per il petrolio, si presenta come una questione altamente problematica. L’estrazione dei dati (dall’ambiente, dai comportamenti delle persone off- e on-line), che ricompare sotto forma di servizi, prodotti e decisioni di mercato per la vita sociale e politica, minaccia di trasformarsi in un gigantesco dispositivo di sorveglianza. Ma perché non pensare anche che la gestione dei dati possa, là dove la vita è carente e insostenibile per l’ambiente e l’esistenza individuale, potenziare, consentire un’espansione della presenza, essere la condizione creativa, generativa di una nuova socialità?

(3, continua)

4. Imprevedibilità della trasformazione tecnologica (in forma capitalistica)

La tecnologia digitale – una tecnologia che incorpora la funzione cognitiva, simbolica dell’essere umano – sta cambiando la faccia del mondo. A differenza della rivoluzione sociale introdotta dalla tecnologia della scrittura, a partire soprattutto dall’invenzione della stampa, la tecnologia elettronica, per la velocità della sua diffusione, è una rivoluzione “avvertita” nella sua portata pervasiva.

Ogni tecnologia nasce in funzione di una necessità, dal bisogno di trarre maggior vantaggio dalle possibilità dell’ambiente, per la sopravvivenza umana, e innesca processi, la cui complessità per definizione trascende l’esistenza del singolo individuo. Ma che cosa fa sì che la tecnologia della conoscenza, dell’informazione e della comunicazione – una sorta di macchina dell’intelligenza umana –  sia vissuta come una minaccia, un dominio opprimente che sovrasta la “portata dell’azione” di un individuo, della sua consapevolezza?

L’innovazione tecnologica non possiede alcuna neutralità, è sempre determinata da una forma sociale entro cui si sviluppa la produzione e la creazione di ricchezza; e anzi la forma che Karl Marx indentifica con la dinamica produttiva capitalistica è una forma che fa dell’innovazione tecnologica il suo motore di sviluppo, il criterio di una rivoluzione permanente della società. È forse proprio nell’estra­neità e nell’autonomia, in cui si sviluppa la creazione dell’interdipendenza reciproca, delle condizioni della vita sociale, che va ricercato quel senso di minaccia?

Quel “potere sociale” non sembra esprimere un interesse comune come una finalità di ordine superiore, ma soltanto «la generalità degli interessi egoistici», la ricerca di una soddisfazione propria, personale, indifferente a quella degli altri. E, per dirla con Davide Sisto, la rivoluzione informatica in fondo nasce in un contesto – la Silicon Valley – in cui si perseguiva «una vita da yuppy e, al tempo stesso, una vita che rincorreva il soldo facile».

È possibile promuovere un processo di consapevolezza – per una cura del mondo, un «nuovo abitare» (Salvatore Iaconesi e Oriana Persico) – gestibile dall’essere umano a misura della sua stessa socialità? La tecnologia di elaborazione dei dati, la computazione, è necessaria “per la nostra sopravvivenza e per la nostra capacità di trarre senso dal mondo. […] Occorre quindi concepire nuove alleanze con gli agenti computazionali” – le persone, gli animali, le piante, le foreste, gli edifici, le città, le comunità, le aziende, i territori, i virus – “per abitare il mondo in nuove sensibilità, in visualizzazioni, luci, suoni, in nuove tattilità”(Salvatore Iaconesi e Oriana Persico)?

(4, continua)

5. Su malattia e morte: nuove sensibilità e bisogno di socialità on-line

È possibile che la Rete – la “mediazione dello schermo” – permetta la costruzione di comunità di esperienza, dove promuovere una nuova sensibilità per situazioni in cui si fa esperienza del limite – dei tabù del nostro tempo?

On-line si sperimenta un bisogno di socialità che promuove un terreno comune, esperienze di  comunità della “sofferenza”, in cui si sperimentano nuove forme di empatia nella comunicazione dell’accadere della malattia, come quella oncologica. Ma è soprattutto sui social media, come osserva Davide Sisto, che si verifica una rottura del tabù più grande della società del ‘900, quello della rimozione sociale e culturale della morte, e una ripresa collettiva dell’esperienza dell’elaborazione del lutto.

Si tratta di una necessaria forma di sensibilità, in grado di metterci in contatto con la finitezza del vivente, il cui destino, per definizione, è l’essere mortale? O non invece il tentativo di esorcizzare la fragilità del vivente, la sua limitatezza, consegnandola alla permanenza dell’immagine, alla sua spettacolarizzazione, alla realtà dello “spettacolo che non finisce mai”?

(5, continua)

6. Tecnologie cognitive e bisogno di socialità: dalla scrittura ai videogiochi

Che una tecnologia cognitiva abbia un impatto sui processi della vita mentale, e sulla stessa anatomia del cervello, non è in questione, dall’invenzione della scrittura fino alla multimedialità elettronica.

Anche la nuova tecnologia digitale, come ogni “tecnologie dell’intelletto” (Jack Goody), porta in luce le potenzialità della cognizione umana e consente di elevare l’“incompletezza” della natura umana in ordine alla creazione delle condizioni della sua vita sociale; essa estende la sua influenza sull’intera organizzazione della società.

Come mezzo di comunicazione, l’innovazione della tecnologia digitale svolge una funzione eminentemente connettiva – a differenza della tecnologia tipografica del libro, che nell’immediato isola l’individuo nella lettura solitaria. E allora quale influsso esercita sullo sviluppo dell’interazione sociale, sulla società intera? L’osservazione di cosa facciamo, ad esempio con il nostro dispositivo elettronico portatile, cosa ci dice sul nostro “essere sociale”, sul nostro bisogno di socialità? Di quali ulteriori esigenze di socializzazione di fa strumento?

E, ancora, la dimensione ludica, alla base della progettazione dei videogiochi, cosa ci svela?

(6, continua)

7. Dal corpo biologico alla carne digitale: una trasformazione antropologica?

Una metamorfosi antropologica è in atto nel passaggio all’epoca della tecnologia digitale? Per Davide Sisto, la proiezione delle nostre vite sul mondo virtuale influenza direttamente il nostro corpo; è una relazione che si caratterizza per una mutata espressione di «che cos’è il nostro rapporto con il corpo, con la nostra identità, il nostro rapporto con l’altro».

Per descrivere questa “mutazione” è più pertinente fare ricorso alla metafora “carne digitale” che non “corpo digitale”. Dove la carnalità rende l’idea della visceralità dell’investimento emotivo che caratterizza la nostra azione on-line, mediata dagli schermi, nel mondo della virtualità.

Siamo in una fase di espansione della “presenza”, per la quale il fare esperienza di sé non solo non richiede più la fisicità del corpo, ma anzi si esprime come bisogno di comunicazione con l’altro “che non esiste”, come volontà, che è parte della storia umana, da Pigmalione in poi, di costruzione dell’altro come “essere non esistente”. È una forma di comunicazione con l’altro che “va oltre l’altro” come presenza fisica, e soddisfa la fantasia umana relativa al “non esistente”; è la manifestazione della capacità umana di «renderci sempre più complessi», della «capacità di evolverci con maggiori opportunità nelle relazioni interpersonali e nella creazione delle nostre fantasie».

Ma come interpretare la non centralità del corpo biologico? Si tratta di una “messa da parte” del corpo – in linea con la sua “condanna” culturale, che attraversa la visione dualistica (anima/spirito vs corpo) della tradizione occidentale – o si tratta di un potenziamento della sua esperienza? O, ancora, è l’indice di un cambiamento del rapporto con la nostra finitezza, e quindi con il nostro desiderio di non essere finiti?

(7, fine)

8. Porcospini digitali: vicinanza e lontananza… – Momento conviviale 1

Su due modalità relazionali: il Ghosting e lo Zombieing, al tempo dei social media.

9. Porcospini digitali: vicinanza e lontananza… – Momento conviviale 2

Davide Sisto: – [Con la tecnologia digitale] c’è un’espansione degli archivi delle esperienze vissute, su cui è ancora difficile tirare delle somme, che però probabilmente incideranno molto sulla formazione personale e collettiva nel corso del tempo. Oltre al fatto che avremo delle società – obsolescenza tecnologica permettendo – che avranno sempre più documenti sugli avvenimenti del passato.

10. Porcospini digitali: vicinanza e lontananza… – Momento conviviale 3

Sui concerti virtuali.
Generazioni a confronto: una cosa “innegabilmente pazzesca” o una “boiata pazzesca”?

11. Porcospini digitali: vicinanza e lontananza… – Momento conviviale 4

Valeria Palumbo: – In che senso socialità?

Un bel problema! Quali sono le azioni che costituiscono ciò che chiamiamo “il sociale”? Uno strumento tecnologico che ci immette in un sistema di iper-connessioni è sufficiente per definire come sociali le nostre relazioni?