Investire nel «bambino migliore», tra editing genetico e contesto sociale

Non è possibile oggi investire sul «bambino migliore» a livello di editing genetico. Non è ancora il tempo, – e forse non ne abbiamo a sufficienza se non quello di immaginarne la possibilità – di accedere ai mondi dell’ingegneria genetica ancora in costruzione. E tuttavia non è più possibile sottrarsi a una questione non banale: fino a che punto intervenire sulla natura umana e riprogettarla è accettabile?

Modellare la natura umana è qualcosa che si fa da sempre. È il campo proprio dell’educazione. E, da sempre, dove persiste un elevato divario di accesso alla ricchezza reale, sociale e culturale, è il contesto sociale a definire in chiave altamente competitiva le opportunità educative nella formazione del «bambino migliore».

Il “miglioramento” dell’essere umano resta pur sempre l’espressione funzionale al sistema che produce la diseguaglianza della sua posizione sociale. Il bisogno di monitorarne, fin dalla sua condizione genetica, il potenziale di crescita non risolve certo il problema del divario di sviluppo sociale delle sue potenzialità espressive, anzi, forse le aggrava.

E tuttavia, lasciare al “caso” la nascita di un figlio – e fare appello all’«amore incondizionato», alla sua accettazione non condizionata dall’aspettativa di modellarne la natura – rischia di assolvere dalla responsabilità di cambiare la condizione di vita che di fatto gli è offerta.

Insomma, investire nel «bambino migliore» significa in definitiva farsi carico di una domanda: la realtà del mondo che vogliamo è la “più adatta” al pieno sviluppo dell’essere umano?

(5, continua)

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