In arrivo / Cena Nº44 - Mercoledì 17 Gennaio 2018

Libertà, sicurezza e organizzazione. Un’apologia del desiderio di non essere dominati

con Giovanni Leghissa

Come mai gli umani tendano così spesso – per non dire sempre – a scambiare libertà in cambio di sicurezza? Uno scambio che, se arreca indubbi vantaggi, non di meno è causa di notevoli sofferenze.

Per formulare un’ipotesi occorre interrogare la nostra storia evolutiva, la storia della nostra specie. Quali vincoli comportamentali ci ha consegnato, vincoli che in vario modo invitano a compiere questo scambio e a ritenerlo per molti versi vantaggioso e “naturale”?

Cosa hanno in comune una compagnia di soldati, un monastero, una riunione di condominio, un club privato, una famiglia, un partito, uno stato, un dipartimento di filosofia o un’azienda? In tutte queste forme di aggregazione operano modalità organizzative strutturalmente simili, volte a risolvere i problemi gestionali che la vita associata comporta: gestione del tempo, delle risorse, dei ruoli, delle gerarchie e delle regole che stabiliscono in base a quali criteri accettare o mettere in crisi queste ultime.

Nell’analizzare i vincoli che ogni struttura organizzativa veicola, sarà possibile comprendere meglio come mai sia così difficile liberarsi dall’idea che il desiderio di sentirsi sicuri, “a casa propria”, debba per forza essere incompatibile con il desiderio di non essere dominati e di essere, quindi, liberi – liberi, almeno, dentro i vincoli che l’organizzazione comunque non può non imporre.

È quindi, non tanto quella della biologia evolutiva, quanto quella della teoria delle organizzazioni, la prospettiva scelta, da Giovanni Leghissa, per aiutarci a riflettere sul nesso tra libertà e sicurezza.

1. Dove siamo? E insieme a chi? Dalle nostre origini alla svolta neolitica

La biologia evolutiva dice qualcosa sul nostro stare al mondo?
Qualcosa di fondamentale, secondo Giovanni Leghissa.

Siamo animali che abitano una nicchia ecologica. E mentre ne siamo modificati, al tempo stesso, la costruiamo, la modifichiamo. È, questa, la caratteristica di un processo coevolutivo, in cui, appunto, l’evoluzione culturale procede insieme all’evoluzione naturale. Il mondo ci viene incontro, si dà  a noi per come siamo fatti – animali bipedi, eretti con pollice opponibile e con visione binoculare. È, la nostra, un’invenzione del mondo – ma è un’invenzione comune, costruita insieme ad altre specie, animali e vegetali, e insieme agli altri della nostra stessa specie, in legami solidali.

Ma, ed è qui il punto chiave, all’inizio della nostra storia evolutiva, gli altri, insieme a cui viviamo in gruppo, sono pochi. Dalla svolta neolitica in poi tutto cambia.

(1, continua)

2. La svolta neolitica: modi di stare insieme, l’organizzazione

Siamo ancora lì, alla svolta neolitica? Sì, secondo Giovanni Leghissa, sì, nel nostro modo di stare insieme. Le modalità che governano le istituzioni della nostra vita sociale, come la famiglia, il partito, l’esercito, la chiesa o l’azienda, derivano ancora da quell’evento storico.

Quattro gli elementi che, a partire dalla svolta neolitica, fanno sistema, creano cioè vincoli organizzativi e definiscono l’organizzazione gerarchica (violenta) della nostra società urbana:

1.  La guerra, la modalità di risoluzione violenta dei conflitti;
2.  La subordinazione delle donne, la loro inferiorità e pericolosità;
3.  Le credenze in grandi sistemi religiosi, le visioni di un ordine del mondo;
4.  La dieta carnea, la scissione tra mondo umano e mondo animale.

Quattro elementi che tracciano i confini, il dentro e il fuori, l’amico e il nemico, di ogni società e, in genere, definiscono le modalità di gestione della nostra appartenenza a un’organizzazione sociale, a tutti i livelli: la fedeltà, la defezione o la protesta; tutte opzioni che hanno un costo.

La tesi di Giovanni Leghissa è che, anche nella modernità, i vincoli organizzativi di appartenenze sono forti, e dipendono dall’organizzazione in quanto tale, da vincoli strutturalmente simili, finalizzati a risolvere i problemi gestionali che la realtà dell’organizzazione comporta: la risorsa (scarsa) del tempo, dell’informazione, dei ruoli gerarchici (il leader, il decisore), e le regole che rendono possibili la vita organizzativa stessa.

Lo scopo di ogni organizzazione è quello di autoriprodursi, la sua necessità di conservarsi e, al tempo stesso, di adattarsi al sorgere di nuove circostanze, altrimenti ne va della sua sopravvivenza. Ma la sua inerzia costitutiva spiega perché il cambiamento, all’interno dei nostri sistemi di convivenza, sia così difficile.

(2, continua)

3. La vita dell’organizzazione, tra conservazione e cambiamento

La sopravvivenza dell’organizzazione è un processo fondamentalmente conservatore. Perché sorprendersi del cambiamento che si verifica all’interno delle organizzazioni? Perché la sua conservazione abbia successo, il cambiamento, l’introduzione del nuovo, richiede la sua incorporazione nel vecchio.

La condizione che permette il cambiamento è la sua capacità di adattarsi al mutare delle circostanze. Ma appunto ciò significa che l’introduzione di nuovo modo di vita deve dar prova di conservarsi entro una configurazione di relazioni mutevoli tra l’organizzazione e l’ambiente. E ciò avviene solo a condizione che il nuovo modo di vita sia congruente con la situazione, con l’ambiente in cui opera. Altrimenti, per eccesso di rigidità, l’organizzazione si altera fino a mettere fine a sé stessa. È la sua morte.

Ma oggi il modo di vita – l’organizzazione – delle istituzioni tradizionali, derivato dalla svolta neolitica, è in grado di affrontare le sfide del mondo attuale? E, non da ultima, proprio la minaccia alla vita della nostra specie che sembra proprio dipendere dal carattere competitivo e violento delle nostre istituzioni – che costituisce culturalmente il nostro mondo e la sua relazione con ill mondo naturale?

Per nostra fortuna, la condivisione del cibo a tavola ha congiurato, per il tempo della cena almeno, tale pericolo.

(3, continua)

4. La vita dell’organizzazione e le dinamiche del desiderio

L’esistenza di un sistema di valori nella vita dell’organizzazione può portare al sacrificio, alla morte per suicidio? Il samurai, il kamikaze o il terrorista sono appunto espressione di una mission organizzativa forte, estrema, della permanenza di un desiderio di coerenza fin dentro la morte.

Ma il desiderio, un dispendio di energia, è soggetto alla variabilità delle circostanze. Può riuscire o può fallire. Al di là della sua natura pulsionale, non interamente dominabile da un individuo, il desiderio ci pone un problema: come decidere cosa fare?
È un problema, come insegna la teoria dell’organizzazione, di valutazione dei costi. Costi di tempo, costi di gestione e di consenso degli altri.

A dircelo, prima ancora che la teoria dell’organizzazione, sono stati i teorici sull’arte della guerra di Sun Tzu, Carl von Clausewitz e, non ultimo, Niccolò Machiavelli. Di cosa ci parlano i loro trattati sull’arte della guerra? Dell’imprevedibilità delle azioni umane.

Il desiderio ci espone alla riuscita o al fallimento. Alla soddisfazione o alla frustrazione. Non tutto dipende da noi, ma l’esito, per dirla con Machiavelli, è da attribuire per metà alla Virtù e per metà alla Fortuna.

NB: Un corollario del problema della decisone interessa la vita democratica di una collettività. In una società democratica è possibile adottare un ordine di preferenze tra diversi ordini di opzioni, di cui ciascun individuo è portatore? È possibile cioè trovare una procedura (per esempio un sistema di voto), più in generale chiamato una funzione di scelta pubblica, che trasformi l’insieme delle preferenze individuali in un ordinamento globale coerente?

Al riguardo, una risposta è quella del “teorema dell’impossibilità di Arrow”.

(4, continua)

5. La vita dell’organizzazione e il desiderio di non essere dominati

Che ne è della libertà o, almeno, del desiderio di non essere dominati? Della “possibilità di fare altrimenti” all’interno dei vincoli organizzativi dello spazio sociale?

I vincoli organizzativi assolvono alla funzione antropologica – un bisogno del l’uomo per sopravvivere – di ridurre la complessità, e cioè proprie le molteplici possibilità presenti nel mondo della vita sociale.

Un mondo in cui prevalga l’esistenza di individui liberi, motivati dal desiderio di non essere dominati, costituisce un problema. Ragionare in termini di vita organizzativa, secondo Giovanni Leghissa, ridefinisce i margini di libertà nella nostra vita: in base alla possibilità di scegliere per un individuo come realizzare la sua vita.

E, al riguardo poi, Charles Darwin e la dottrina buddista offrono un orizzonte di senso, improntato alla leggerezza, sul nostro desiderio di libertà.

(5, continua)

6. Excursus – Sul senso della vita

Cosa succede se assumiamo una posizione di maggiore distacco, una riduzione del nostro coinvolgimento emotivo sulle questioni esistenziali rilevanti, come, ad esempio, il senso della vita?

A tavola, se ne è parlato, e con forza.

(6, continua)

7. Il cambiamento è possibile, basta volerlo!

Perché non immaginare un’organizzazione, come lo Stato, che invece di massacrare, fa del bene all’umanità?
L’attuale situazione di “crisi”, per prima quella ecologica, può rappresentare un’opportunità per una presa di coscienza della necessità del cambiamento. Di una rivoluzione. Ma dall’alto o dal basso?

In ogni caso, a ciò si oppone una serie di limiti. Limiti cognitivi di Homo sapiens, la sua incapacità di previsione del futuro; limiti del top management mondiale, la sua “ignoranza” culturale, formatasi su un pensiero (economico), comune e dominante, riduttivo; i limiti stessi della vita organizzativa delle istituzioni, nelle loro pratiche di routine nella  gestione dell’esistente.

E tuttavia – questa è la conclusione di Giovanni Leghissa – Homo sapiens può farcela! In base alla sua capacità (rara) di apprendere ad apprendere. Nulla al momento può escludere che ciò possa accadere.

Una questione di tempo, del tempo prima della catastrofe, in cui ne va della nostra sopravvivenza. Da questa prospettiva, ostinarsi a vedere nella rivoluzione dei legami di intimità, nell’essere insieme, di quell’intimità che crea compassione, che è ciò che chiamiamo amore, può essere un buon punto di partenza. Nulla di sentimentale però, ma una disposizione, un’emozione biologica fondamentale, l’amore per il vivente, per l’animale, per la pianta e, perché no, anche per la pietra, di cui tutta la natura si compone.

(7, fine)