In arrivo / Cena Nº86 -

“Lo dice la Scienza”

con Alessandro Ferretti

“Lo dice la Scienza” è una frase che si sente e si legge spesso, e che viene usata per sottolineare che una certa affermazione è indubitabilmente vera. Ovviamente però “la Scienza” è un concetto astratto: nella realtà esistono degli “scienziati”, che liberamente studiano e pubblicano i risultati delle loro ricerche su riviste “scientifiche”… e che, come tutti gli umani, possono sbagliare. Durante il Covid-19 abbiamo inoltre scoperto che a volte gli “scienziati” non sono affatto d’accordo tra di loro.

Di fronte a questa rivelazione, alcuni hanno messo in dubbio l’intero impianto delle scienze sperimentali, affermando che tutto può essere oggetto di dibattito e quindi nulla può essere conosciuto con certezza.
Viene quindi da chiedersi: ma cos’è la “verità scientifica”? Che differenza c’è tra una verità scientifica e un’opinione? Come si decide se un’affermazione è “scientificamente vera”?

Proveremo a capire insieme a Alessandro Ferretti* come funziona il metodo scientifico, con quali criteri lavorano gli scienziati, qual è il ruolo dell'”elemento umano” e come si possa valutare l’attendibilità della scienza nei diversi campi del sapere.

* Alessandro Ferretti è ricercatore universitario presso il Dipartimento di Fisica dell’Università di Torino. Svolge attività di blogger nel tentativo di aprire canali di comunicazione tra l’università e il mondo esterno, nella speranza che una nuova società della conoscenza prenda vita e sia motore del cambiamento verso un futuro pacifico, sostenibile e giusto. Qui i suoi due blog: https://alessandroferrettiblog.wordpress.com/informazioni/ e https://www.ilfattoquotidiano.it/blog/aferretti/

Copertina: Science Is Truth, è una fotografia di James DeFazio, 2020, da una frase di Anthony Fauci.

1. Il metodo scientifico: tra prova sperimentale e interpretazione dei dati

La pandemia di Covid-19 – che meglio è definire sindemia* – ha messo in gioco la credibilità della scienza. E proprio nel tentativo di parte dell’istituzione scientifica di spacciare la Scienza (con la S maiuscola) come verità (Antony Fauci, virologo) indiscutibile.

Ma che cos’è la verità scientifica? Alessandro Ferretti chiarisce qui quali sono i principali criteri, a partire da Galileo Galilei, che definiscono il metodo scientifico in termini di “esperimento”, di “sensate esperienze”, per il quale la capacità di fare previsioni sulla realtà è la dimostrazione del suo potere di conoscenza.

Ma quanto è possibile estendere, al di là di “casi semplici”, l’esperimento scientifico? Quanto la complessità del mondo reale, e della natura, può mettere in scacco la ricerca di una prova sperimentale? In questo caso la difficoltà sta proprio nell’ottenere una interpretazione univoca dei dati che la ricerca scientifica fornisce nella sua “conversazione” con la realtà.

Se al crescere della complessità, come nel caso della sindemia da Covid-19, aumenta anche la “confusione”, la molteplicità delle interpretazioni “scientifiche”, come è possibile allora mettersi d’accordo sull’accertamento razionale della realtà, e la realtà del mondo? E se viene meno il riferimento ad una sua comprensione condivisa, come è possibile promuovere la solidarietà per la convivenza umana?

* Sindemia, s. f. L’insieme di problemi di salute, ambientali, sociali ed economici prodotti dall’interazione tra due o più patologie epidemiche, che comporta pesanti ripercussioni sulle condizioni di vita della popolazione colpita. (da Vocabolario Treccani)

(1, continua)

2. La fiducia sociale nella scienza al tempo del Covid-19

Che cos’è a rischio quando il tema della ricerca scientifica – come la dif­fusione del virus SARS-CoV-2 – interessa il processo vitale della riproduzione sociale in epoca neoliberista? Durante la sindemia la singola individualità, la sua esistenza materiale e mentale, è dipesa quasi totalmente da infrastrutture tecnologiche, subordinate agli interessi politici, economico-finanziari dei loro assetti proprietari capitalistici (piattaforme digi­tali di e-commerce, i social network, le multinazionali del farmaco).

L’esistenza degli individui, consegnata all’isolamento corporeo, è risultata esposta, e mai in maniera così plastica, al paradosso di una totale indipendenza delle condizioni sociali entro le quali gli individui stessi entrano in contatto, dimostrano cioè la loro dipendenza reciproca. In questa esposizione globale e diretta, senza più livelli intermedi di partecipazione, dell’esistenza individuale ciò che sembra venir meno è la costruzione dal basso di un senso di appartenenza sociale e di condivisione di una conoscenza istituzionale: nella gestione della nostra vita, e proprio là dove ne va della nostra sopravvivenza, siamo lasciati soli, e diventa difficile sapere su chi poter contare.

L’incontro con un patogeno mortale, negli spasmi della malattia, e del dolore, e nella paura del “contagio”, ci ha mostrato però che, per comprendere cosa accade nel mondo, continuiamo ad avere bisogno di un ancoraggio emotivo e mentale in base a cui orientare la nostra vita. Ma dove trovare un tale aggancio se il senso di fiducia nella conoscenza scientifica istituzionale più prossima – quella del proprio medico –  viene indebolita, depotenziata? Come può il senso di fiducia sociale non rimanere preda della manipolazione spettacolare dell’informazione e della comunicazione del sistema dei media?

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3. Della verità e libertà della scienza nella società capitalistica

La pandemia di Covid-19 è stato la disfatta della scienza. Non certo per il suo risultato – al di là della gestione sanitaria – nel contenere la propagazione di un agente virale patogeno; quanto invece per il richiamo dogmatico all’autorità con cui , in risposta al panico indotto nella popolazione, si è tentato di accreditare la ricerca scientifica nel ricco mondo occidentale.

Si è fatto ricorso al mito centrale della cultura dell’Occidente, al mito positivista del progresso: essa è l’unica cultura, attraverso la scienza, in grado di cogliere la realtà delle cose; è la sola, attraverso la tecnica, in grado di dominare la natura che minaccia la sopravvivenza umana. “La Scienza è Verità!”, in senso assoluto, e il diritto alla critica, alla riflessività del processo di costruzione della conoscenza – che pure è un esito storico-culturale della modernità – è stato messo a tacere. Ma la realtà di ciò che accade è molto più complessa di qualsiasi spiegazione resa disponibile dalle scienze dure che, come insegna Alessandro Ferretti, si occupano solo di sistemi semplici.

Su invito di Elena Del Col, forse si tratta di ritenere che la pretesa di “neutralità” della scienza è il punto cieco della cultura dell’Occidente: l’escludere l’operatore (osservatore/interprete) della scienza, “dura o elastica” che sia, inteso come collettivo di esseri umani, dal mondo in cui opera, significa dimenticare che essa, per essere tale, ritaglia dalla realtà un certo numero di enti e di fenomeni (una ontologia), definisce un contesto; stabilisce percorsi di conoscenza adeguati a quel contesto (una epistemologia); e al tempo stesso persegue condotte coerenti con l’esistenza di quel contesto (un’etica).

Ma cosa succede se si dimentica che a fondamento del bisogno di fornire una spiegazione del reale, del caos del mondo, c’è l’emotività del vivere, e cioè che la necessità di fare i conti con l’incertezza della possibilità di vivere è la condizione del nostro stare al mondo? Cosa succede se la vita degli operatori della scienza è fagocitata dal primato economico – questo sì assoluto – della produzione capitalista, la cui misurazione della ricchezza è violentemente ricondotta alla sola realtà quantitativa del denaro? Ne va della stessa «libertà della scienza che presuppone che lo scienziato non sia una persona che si fa gli affari suoi con la scienza» (Alessandro Ferretti).

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4. La scienza, bene comune? Tra impotenza del fare politico e ansia climatica

La scienza, e in genere la cultura, come può essere espressione del bene comune, là dove le istituzioni – della formazione, dell’istruzione o dell’attività lavorativa – in cui la si esercita perseguono interessi economici di natura privatista, e generano condizioni di esistenza sempre più parcellizzate della vita sociale?

Una cultura che celebra la performance individuale, il cambiamento personale, e non il potenziamento collettivo, il potere trasformativo delle condizioni di vita comune – il commoning, una pratica del fare in comune, e quindi anche del pensare e del volere –, a che condizione riesce a tenere insieme gli individui? O, altrimenti, cosa consente a un individuo di cavarsela in una vita istituzionale diventata più competitiva, basata su relazioni umane superficiali – superficiali, perché improntate ad alti livelli di sfiducia e di ansia da inutilità generalizzati.

Insieme a Massimo Arvat ci siamo interrogati sul valore politico di quella sensibilità che va sotto il nome di ansia da cambiamento climatico (o eco ansia), cui, soprattutto, le nuove generazioni reagiscono con l’attivismo della ribellione. È, forse lì, nella lotta, nella dimensione del poter fare insieme, che è da rintracciare quel senso del possibile, l’immaginario di un bene comune, di una compiuta democrazia, per riuscire a salvarci dalla catastrofe ambientale in corso?

(4, continua)

5. Ricchezza privata individuale vs. Natura e prosperità umana collettiva

Di fronte alla sfida globale del cambiamento climatico in corso, e altre catastrofi, a quale soluzione affidare la salvezza dell’umanità? È auspicabile affidare la soluzione dell’emergenza ecologia generata dall’impatto ambientale del modo di produzione capitalista a una sua riformabilità, cioè, all’interno del sistema capitalista stesso?

Una sorta di convergenza tra la conservazione dell’ambiente e il regime di accumulazione capitalista, che nella dinamica del mercato stesso, e cioè sempre in una logica di privatizzazione delle risorse naturali, attraverso la riduzione dei processi di estrazione energetica, renderebbe compatibile il mantenimento di alti tassi di profitto con uno sfruttamento razionale del “capitale naturale”. Insomma, una soluzione tecno-capitalista al tema dell’ecologia.

Ma ciò significherebbe far dipendere le condizioni generali di vita dell’umanità, e anche della vita non umana, dalla decisione “illuminata” di un processo di accumulazione privata della ricchezza, la cui concentrazione in mano a pochi (l’esistenza del super-ricco – del capitalista come agente) è il risultato pur sempre solo di un processo crescente di espropriazione – in un divario di ricchezza su scala sempre più allargata – della collettività, e della massa della popolazione mondiale.

Dove sta il limite di questa dinamica di accumulazione di ricchezza individuale, e cioè del potere privato del capitalista sulle condizioni sociali, comuni, generali della produzione e riproduzione della vita? È possibile rovesciare la relazione: fare della raggiunta forma cooperativa dei processi trasformativi della natura, e nella consapevole applicazione tecnologica della scienza, il fondamento della “proprietà individuale”, della prosperità umana individuale?

(5, continua)

6. L’educazione all’amore, una via di uscita collettiva dal “sistema”?

C’è una via di uscita dall’attuale “sistema”, per vivere meglio in maniera collettiva? Non c’è, non almeno fino a quando l’accesso alla ricchezza reale – un rapporto sociale – è regolato dal potere che ognuno si porta in tasca, dal potere del denaro. E non è un fatto accidentale. Quando la massa degli individui, che  partecipa attivamente alla ricchezza della società (in termini di energia, di capacità operative, cognitive ed espressive e di tempo di vita), ne riceve in cambio solo una quota, in forma di denaro, tale da garantire al minimo la sussistenza dei singoli individui, ciò significa che è la limitazione materiale a dominare la loro vita. La sua semplice funzionalità è quella di esprime subordinazione, e una subordinazione necessaria, sistematica della maggior parte degli individui a tale condizione di vita.

È questo il significato politico dell’aumento del tasso di interesse – il costo del credito monetario – della Fed (Federal Reserve Systeme) e della Bce (Banca Centrale Europea) in questa fase post-pandemica di economia inflazionista del capitalismo. E non se ne esce da un sistema truccato. Una società che non lascia scampo all’individuo, se non nel “fare i propri affari”, è una società destinata alla sua stessa dissoluzione. La conseguenza di un sistema che giustifica la competizione come destino relazionale della vita dell’individuo non può essere che la negazione stessa della reciprocità. Un capitalista che faccia, non del salario, ma del “prendersi cura” il criterio relazionale con i propri lavoratori, va fuori mercato.

L’educazione all’amore è, per Alessandro Ferretti, l’unico antidoto al “sistema” della società capitalistica. L’amore è l’emozione, la disposizione biologica, che sta a fondamento del sociale, di uno spazio di reciproca legittimità nella convivenza.

(6, fine)

7. “Lo dice la Scienza” – Momento conviviale 1

Un aneddoto – I neutrini del CERN più veloci della luce (2011)

8. “Lo dice la Scienza” – Momento conviviale 2

Sull’attivismo per il clima

Irene Pellini: – [Il movimento Fridays for Future] è stata un enorme debacle, sconfitta, con il Covid, perché non siamo stati capaci di convertirci totalmente al digitale, ma d’altra parte, quando sei chiuso in casa, come fai ad andare in piazza? Non puoi andare in pazza, non hai un modo di dissentire. Però è anche una cosa che invece andrebbe cercata di sfruttare in positivo, cioè i social hanno un enorme impatto… proprio usando i socialuno può cercare di smontare determinati tipi di dinamiche e di pensieri. Il problema è: come?
Elena Del Col: […] Io [come cittadina, ventenne nel 2023] posso anche andare a fare l’attivista, e ci sono persone che dedicano la loro vita a tempo pieno a Fridays for Future, però c’è anche un clima che ti giustifica molto di meno se lo fai, perché siamo in una società della performance, siamo in una società in cui ci sono molti meno spazi, c’è molto meno giustificazione, secondo me, del protestare, dell’essere attivo.
Massimo Arvat: – Meno giustificazioni del protestare?! Ma avete molto più, più…
Elena Del Col: Abbiamo molti più mezzi…
Massimo Arvat: Non più mezzi, avete molte più ragioni.
Irene Pellini: Più ragioni.
Elena Del Col: Più ragioni, tantissime ragioni. Lo so ma…

9. “Lo dice la Scienza” – Momento conviviale 3

Il botto, una reazione fisica inattesa
Per i dieci (10) anni di C O N D I R S I

10. “Lo dice la Scienza” – Momento conviviale 4

Sull’estinzione dell’umanità e sul fare figlie e figli