Lo usiamo tutti. Se in questi anni c’è stata una rivoluzione tecnologica, che ha dotato di nuova configurazione l’economia, la società e l’immaginario culturale, il suo simbolo è sicuramente l’oggetto più quotidiano che esista, e la cui presenza nelle nostre vite è ormai data per scontata: lo smartphone. Ma questa macchina digitale per eccellenza quale forma ha assunto nel corso della sua produzione e della sua adozione nella vita quotidiana? Qual è il suo impatto a livello lavorativo, economico, sociale e ambientale sulla vita collettiva?
Ma forse, a partire da questo dispositivo “magico”, occorre cominciare a esplorare le possibilità offerte da una tecnologia, e valutare, con metodo democratico, le implicazioni complesse che la sua adozione comporta per la convivenza umana. A tal fine l’immaginazione tecnologica svolge un ruolo importante: ci aiuta a saper prospettare i diversi modi con cui una tecnologia potrebbe venire introdotta in alternativa alla forma che ha assunto in un determinato momento storico e per ragioni contingenti. E a capire anche come “potrebbe essere diversamente”, soprattutto in termini di rispetto della dignità e dei diritti di chi ne fa uso, senza alterarne l’utilità.
Per Juan Carlos De Martin* è un’operazione intellettuale e civile che si potrebbe fare per molti altri oggetti della nostra vita, ma che è urgente fare per lo smartphone, perché lo spazio per prevenire una deriva pericolosa sembra si stia rapidamente assottigliando. Insieme a lui, ci interrogheremo sullo smartphone, perché è intorno a questo dispositivo quotidiano che si gioca una partita cruciale, quella che Stefano Rodotà, a conclusione di un suo famoso discorso (1997), ha espresso in questo modo: «L’avvenire democratico si gioca sempre di più intorno alla capacità sociale e politica di trasformare le tecnologie dell’informazione e della comunicazione in tecnologie della libertà, e non del controllo».
* Juan Carlos De Martin è professore ordinario di ingegneria informatica e co-fondatore e co-direttore del Centro Nexa su Internet e Società. È autore del libro Università futura. Tra democrazia e bit (Codice Edizioni, 2017) e di oltre 150 articoli scientifici, capitoli di libri e brevetti internazionali. Il 22 settembre 2023 è uscito il suo secondo libro titolato: Contro lo smartphone. Per una tecnologia più democratica (ADD Editore, 2024), con prefazione di Gustavo Zagrebelsky. Tra il 2010 e il 2020 è stato editorialista de “La Stampa” e de “La Repubblica”.
Per saperne di più qui: https://politecnicofuturo.it/#chi-sono
Immagine di copertina: Mobile, Pawel Kuczynski, Poland
1. Lo smartphone, una “macchina necessaria”
Perché interrogarsi sullo smartphone? Lo smartphone è poi solo una macchina, ma è la macchina per eccellenza di questa prima parte del secolo XXI. La sua invenzione risale appena al 2007, e la sua presenza si è estesa a livello globale con una velocità inedita ed è diventata così pervasiva e costante nella vita quotidiana da essere assimilabile, come già dichiarava nel 2014 una famosa sentenza della Corte Suprema USA, a una “caratteristica dell’anatomia umana”.
Che lo smartphone sia diventato una macchina universalmente indispensabile è, per Juan Carlos De Martin, un fatto senza precedenti storici. Allora, e proprio per questo, occorre interrogarci sulla sua natura di “macchina necessaria” per la nostra vita quotidiana: come funziona quest’oggetto elettronico – che sta in una mano – che è lo smartphone? Cosa sta a monte, prima del suo uso, cosa a valle, dopo il suo uso, quando diventa un rifiuto elettronico? Qual è il potere dello smartphone, cioè quali sono le conseguenze del suo impatto sulla nostra vita?
Ma la domanda davvero cruciale è: chi controlla lo smartphone? Perché «se una macchina diventa indispensabile, e qualcuno controlla una macchina per noi indispensabile, quel qualcuno controlla noi». Il cuore del problema allora diventa: quali libertà, quali facoltà operative, sono consentite nell’uso dello smartphone?
A questa domanda, che riguarda le limitazioni poste alle possibilità funzionali dell’oggetto, la riposta per Juan Carlo De Martin non è tanto di natura tecnologica. Al contrario, è la progettazione tecnologica dello smartphone a essere vincolata alla logica di una politica di controllo.
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2. Lo smartphone, una “macchina opaca” raccogli dati… su di noi
È, lo smartphone, un dispositivo portatile, dalla tecnologia avanzata, dotato di un’interfaccia – uno schermo tattile – facile da usare, versatile nelle sue prestazioni. Nella sua attrattiva utilità sta il suo potere. Insomma, è quasi impossibile farne a meno.
Nella storia recente dei dispositivi “intelligenti” portatili, è il telefono cellulare, all’inizio degli anni ’90, a segnare una discontinuità. Per la prima volta l’utente di un dispositivo di comunicazione, associato per una scelta politica all’identità del suo possessore, presta il consenso alla tracciabilità della propria mobilità personale. È un cambio di paradigma: negli ultimi trent’anni, tutti a priori, senza eccezione, sono oggetto di “sorveglianza”, nel senso che i dati personali sono registrati e archiviati per un tempo potenzialmente indefinito.
Questa “spontanea” cessione di dati personali, attraverso l’adozione oggi dello smartphone, per Juan Carlos De Martin, non deve farci dimenticare, che alla facile decisione di portare con sé uno smartphone, che equivale alla sua necessità – per cui «è difficile non decidere di averlo» –, corrisponde la forzata condivisione dei dati personali. Ma è proprio di questa sua funzionalità – la generazione di dati – che la grande maggioranza dei suoi utenti manca di consapevolezza.
Sotto questo aspetto, lo smartphone è una “macchina opaca”: quali sono infatti i dati estratti, dove vengono depositati e, soprattutto, quali sono le implicazioni, anche temporali, della loro ampia e diffusa distribuzione?
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3. La computerizzazione del mondo e la generazione dei dati personali
Cosa fa quella macchina digitale che è lo smartphone? È progettata per la raccolta di dati relativi al comportamento del suo possessore e all’ambiente in cui si trova, anzi, per portare al limite massimo la raccolta dei dati, nella prospettiva di un loro potenziale valore economico. E come lo fa? Lo fa principalmente attraverso i “sensori”, dispositivi fisici in grado di generare dati associati a un’identità personale.
La questione critica, per Juan Carlos De Martin, non è tanto la regolazione dei dati, a monte – come i dati vengono gestiti – ma la generazione stessa dei dati, a valle – e cioè perché i dati vengono raccolti? Questa spinta alla raccolta dati non riguarda solo lo smartphone ma, in generale, la nostra vita e, soprattutto, il nostro ambiente. I dispositivi cosiddetti smart, cioè in associazione alla Rete, a Internet, sono una presenza sempre più invasiva nel nostro stile di vita. Stiamo assistendo a un processo di “computerizzazione del mondo”.
L’esistenza fisica dei dati è sempre un potenziale rischio per la libertà personale. Al di là della loro legittimità, la raccolta, la registrazione e la conservazione nel tempo dei dati personali compongono una sequenza che in ogni passaggio richiede una riflessione collettiva, culturale e civile, essere cioè oggetto di una riflessione critica, democratica, perché, come osserva Juan Carlos De Martin, la tecnologia è politica, è uno dei grandi fattori che danno forma al presente e al futuro dell’umanità.
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4. Il potere dello smartphone, una tecnologia attiva della comunicazione progettata per generare dipendenza
La nostra sovranità sull’oggetto-smartphone è dunque molto condizionata. Ma come spiegare il potere del dispositivo sulla nostra vita, sempre più crescente al crescere del suo utilizzo? Il suo impatto sugli utenti è davvero riducibile alla sua funzionalità operativa, pratica? O, non invece, anche al bisogno umano di “essere altrove” – di appagare un desiderio di distrazione o, addirittura, di dissociazione dalla realtà immediata?
È, questo, un potere di evasione che, come osserva Juan Carlo De Martin, appartiene alla storia delle moderne tecnologie della comunicazione, dall’invenzione del libro a stampa e attraverso il romanzo fino ai più recenti mass media (radio, cinema, telefono, televisione).
Cosa distingue lo smartphone dalle tecnologie della comunicazione precedenti? Due le proprietà che, per Juan Carlos De Martin, conferiscono allo smartphone il valore di un’innovazione inedita. La prima: è una “tecnologia attiva”, è un oggetto che, mentre viene consumato, al tempo stesso consuma il suo utente, è finalizzato all’estrazione di dati comportamentali dell’utente; la seconda: è una tecnologia che genera dipendenza, ma una dipendenza che è l’esito di una deliberata intenzionalità progettuale – è un oggetto fatto apposta per “aggredire” l’utente.
Il potere dello smartphone fa dunque leva, per così dire, sulla nostra condizione di creature vulnerabili, sulla nostra fragilità di esseri bisognosi di ricompensa, di piacere, di esseri dipendenti dal desiderio di felicità? In ogni caso, le nuove conseguenze sulla nostra vita corporea e mentale, prodotte dall’introduzione dello smartphone nella società, non possono essere che oggetto di un apprendimento per la società stessa. Ma in quanto si tratta di relazioni, di nuove forme di socialità, quali linee di azione è possibile riscontrare nei processi della loro normazione, della loro regolazione?
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5. “Contro” lo smartphone: il suo utilizzo, la normativa e i social – Parte 1a
Una legislazione sulle funzionalità dello smartphone – dalla raccolta dati all’utilizzo delle sue applicazioni – non solo è possibile ma necessaria, almeno là dove la ricerca ne rileva aspetti critici. Lo smartphone è un oggetto multiforme, dalle prestazioni molteplici, ma non infinite, ed è quindi possibile un intervento normativo, funzione per funzione, applicazione per applicazione. E, al riguardo, le app, il cui uso è prevalente, sono social media (FaceBook, Instagram, X Whatsapp e poche altre).
Ma per quale motivo la legislazione risulta di fatto così in ritardo? È vero che il tempo della politica, nella costruzione di un impianto normativo, il più delle volte si rivela poco adeguato ai tempi di sviluppo dell’innovazione tecnologica. C’è però anche una questione di disparità di risorse tra il potere pubblico e i colossi privati delle piattaforme digitali, soprattutto per la loro capacità di pressione lobbistica.
In definitiva, per Juan Carlo De Martin, il ritardo legislativo è riconducibile al fatto che «ogni secondo passato a guardare lo schermo dello smartphone è denaro, è un profitto per qualcuno» – è un potere che non sta appunto in mano a chi ne fa uso.
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6. “Contro” lo smartphone: il suo utilizzo, la normativa e i social – Parte 2a
È davvero impossibile, per chi ne fa uso, fare a meno dello smartphone? Per la generazione che è cresciuta insieme allo smartphone, ma più esattamente “dentro” la sua “utilità” principale, quella del contatto sociale, dei social media, “dire di no” al suo utilizzo sembra davvero difficile. La dipendenza dalla realtà virtuale dei social è davvero un problema. È un problema di riappropriazione. La riappropriazione di “una dimensione di realtà” delle cose, alternativa alla realtà virtuale, che però non appare così desiderabile come la sua simulazione.
Questo dilemma, una drastica alternativa alla Matrix, è un dilemma tipico solo della gioventù? Di certo, la sovrapposizione di spazi e tempi altri “dentro” la vita quotidiana è un problema relativo alla comunicazione al tempo dello smartphone – un delirio comunicativo alla Whatsapp.
Per Juan Carlo De Martin, lo smartphone – un oggetto versatile, è un computer che è in grado di fare qualunque cosa si riesca a tradurre in un programma – è, dal punto di vista dei tempi sociali, un oggetto recente. È una tecnologia che, come ogni altra tecnologia della comunicazione, richiede un certo tempo, tipicamente una generazione, affinché si sviluppino norme di comportamento sociale condivise, per imparare a gestirne l’utilizzo.
Siamo ancora nella fase della sua “umanizzazione”, e ciò equivale a promuovere, attraverso un ampio dibattito democratico, pubblico, un consenso sociale sul suo utilizzo individuale e collettivo.
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7. Quale coevoluzione tra essere umano e macchina digitale?
La prospettiva è rassicurante. A progettare, produrre e diffondere la tecnologia, per poi farne un uso “intelligente”, è pur sempre l’essere umano: la relazione uomo-macchina digitale è in fondo pensabile nei termini di un paradigma del tipo “creatore-creazione”. Ma se il problema che si pone è quello di come “umanizzare” la tecnologia, allora il problema non è più così banale. Anzi, può risultare inquietante. Perché, là dove la tecnologia si presenta manifestamente come autonoma dal suo creatore, come è ad esempio per le macchine “intelligenti” capaci di comportamenti originali e funzioni emergenti, significa interrogarsi su quale sia il nesso relazionale che si stabilisce tra due entità relativamente indipendenti una dall’altra.
In linea di massima, per Juan Carlos De Martin, significa appunto sviluppare in maniera consapevole norme sociali per il suo utilizzo. Il problema sta in effetti nella nostra capacità di comprendere come, in che modo, nella relazione essere umano, tecnologia e contesto culturale che si genera insieme alla tecnologia – così come è stato per la tecnologia del libro a stampa – ci troviamo immersi in una vera e propria coevoluzione, e fino a punto questa immersione interessa la nostra stessa evoluzione biologica o organica.
Nel caso dello smartphone, una cosa è certa. Nella sua progettualità, l’obiettivo principale di chi lo progetta è di «cerca[re] di condizionare il nostro comportamento, di prevedere il nostro comportamento, e la cosa migliore per prevederlo è condizionarlo». In questo senso, per alcuni studiosi, per la tecnologia digitale dello smartphone si può parlare di “de-umanizzazione tecnologica”, di una sorta di “diminuzione” della complessità umana. (cfr. Miguel Benasayag, Il cervello aumentato, l’uomo diminuito, Erikson, 2016)
Ma intanto è bene, per Juan Carlos De Martin, cominciare a chiederci: cosa c’è dopo lo smartphone? La direzione sarà quella di una maggiore integrazione tra macchina digitale e essere umano, e il suo essere corporeo? E ancor prima, per il nostro fare, per il nostro vivere in società, quali alternative all’uso dello smartphone occorrerà preservare? Perché la possibilità di fare una cosa solo più con lo smartphone, se lo smartphone non ce l’ho o non funziona o Internet non c’è, «è proprio una fragilità sistemica. È un po’ come, una volta messo l’ascensore, togliere le scale». Si finisce per sacrificare all’efficienza di una tecnologia la robustezza dell’intero sistema.
8. Contro lo smartphone. Per una tecnologia più democratica – Momento conviviale 1
Sui dati delle app
Juan Carlos De Martin: – Supponete che adesso dicessi: tirate fuori tutti quanti lo smartphone e usiamo una certa app per fare domande anonime e discutere in maniera anonima. Potremmo farlo utilizzando addirittura il bluetooth, siamo talmente vicini che potremmo farlo con il bluetooth e quindi fare qualcosa totalmente in locale. Provateci!
9. Contro lo smartphone. Per una tecnologia più democratica – Momento conviviale 2
Il problema della tutela dei dati personali e la normativa europea
Maurizio Fraternali: – A che punto siamo in Italia con la legislazione…
Juan Carlos De Martin: – Legislazione su cosa?
Maurizio Fraternali: – Rispetto alla raccolta dei dati tramite lo smartphone.
Juan Carlos De Martin: – Allora, in Europa, e poi anche in Italia, anche per quello che è successo nel ‘900 con le dittature del fascismo, del nazismo…
10. Contro lo smartphone. Per una tecnologia più democratica – Momento conviviale 3
Lo smartphone, un obiettivo di mercato
Juan Carlos De Martin: – Si sapeva che un telefono intelligente era un po’ nell’aria nel 2004 2005 e 2006. Microsoft cercava di farlo, Google voleva farlo, Apple lo voleva fare, tutti segretamente cercavano di farlo. C’erano già alcuni modelli di un certo successo sul mercato. Era un obiettivo di mercato.
11. Contro lo smartphone. Per una tecnologia più democratica – Momento conviviale 4
La registrazione dati dallo smartphone, materia grezza per l’Intelligenza Artificiale (IA)
Laura Burocco: – Una cosa mi interessava, quando hai detto del fatto che tutti questi dati […] poi sono stati utilizzati per brevettare tutto ciò che riguarda l’Intelligenza Artificiale.
Juan Carlos De Martin: – Allora, l’Intelligenza Artificiale è stata inventata settant’anni fa come termine. Era una sottobranca dell’informatica. Le tecniche che adesso chiamiamo Intelligenza Artificiale sono in questi ultimi dieci anni – in realtà esattamente gli anni dello smartphone – sono tecniche che richiedono moltissimi dati per essere addestrate…