In arrivo / Cena Nº63 - Martedì 29 Novembre 2019

L’occhio della macchina e uno sguardo sul mondo

con Simone Arcagni

Se ogni epoca propone uno specifico sguardo sul mondo, allora qual è la logica e la natura dell’occhio contemporaneo? Come vediamo, quali dispostivi usiamo, quali tecnologie implementiamo… insomma: qual è l’occhio della macchina?

Il sistema visivo digitale racconta la nostra cultura e la nostra società. Ma per definirlo dobbiamo analizzare e storicizzare la visione digitale e quindi i campi dell’Informatica quali Computer Vision, Computer Graphics, Pattern Recognition e Imaging. Solo studiando le ricerche, i risultati e le tendenze di queste discipline possiamo capire la logica visiva del nostro tempo.

Insieme a Simone Arcagni ci interrogheremo su come l’occhio della Macchina Informatica cambia, non solo il nostro sguardo, ma la realtà stessa del mondo che ci circonda.

1. Società, dispositivi sociali e visioni del mondo

Ogni società produce, attraverso l’invenzione di dispositivi visivi, uno sguardo, un modo di vedere, che diviene al tempo stesso un modo di pensare, una visione sul mondo di quella società stessa. L’esempio più interessante, al riguardo, è quello della prospettiva rinascimentale – «forma simbolica», appunto, di rappresentazione del mondo della nascente società mercantile europea.

A partire da questo assunto, Simone Arcagni si interroga sull’«occhio della macchina» digitalizzata di oggi.

La visione digitale è quella di un «occhio diverso» rispetto all’occhio dei dispositivi visivi precedenti nella storia della nostra società? La «rivoluzione digitale» è un dispositivo che dà origine anche a una rivoluzione dello sguardo, della visione sul mondo che ci riguarda?

(1, continua)

2. La rivoluzione digitale, un problema per filosofi

La «macchina digitale» è una rivoluzione, per Simone Arcagni – una rivoluzione tecnologica, economica, culturale, sociale e politica. Una rivoluzione totale cui non siamo ancora attrezzati per averne una comprensione – che non è già data nella funzione cui assolve un dispositivo digitale dal momento in cui entra a far parte del mondo.

La digitalizzazione della visione non è una questione solo per ingegneri. Qual è l’impatto dei dispositivi dotati di intelligenza artificiale nella società? È un problema che richiede una riflessione filosofica e che, come nello spirito di Condirsi, sia aperta alle domande, a una «domanda continua» sulla realtà della nostra vita quotidiana.

(2, continua)

3. La vita del mondo a misura di algoritmo?

Interrogarsi sul mondo digitale significa, per Simone Arcagni, «andare a rioccupare uno spazio nel mondo» – per non più subire una dinamica del mondo, e forse della vita stessa, il cui governo sembra avere la natura di un algoritmo, di una programmazione per Macchina Informatica.

E la cosa sta così, forse perché è il mondo del discreto digitale, l’universo algoritmico dell’intelligenza artificiale, a essere convergente con il mondo biologico?

Questa convergenza cosa dice su come guardiamo a noi stessi e al nostro posto nel mondo?
Che cosa chiediamo – di fare o di essere – alla tecnologia informatica? Quello di entrare a far parte del nostro sistema di vita, come per ogni tecnologia? O, addirittura, chiediamo una crescita co–evolutiva, simbiotica, tra l’uomo e la macchina?

(3, continua)

4. Intelligenza artificiale: datacrazia e giustizia sociale

L’Intelligenza Artificiale, la cui forma di intelligenza è semplice, perché si basa su il sì/no del calcolo binario, è oggi uno strumento che ci permette di aprirci alla complessità nella comprensione del mondo. Ma cosa si nasconde dietro all’autonomia del suo funzionamento?

Per averne un’idea, Simone Arcagni ci propone, come metafora, l’automa del racconto di Edgar Allan Poe, Il giocatore di scacchi di Maelzel. Che altro non è che una riflessione sul potere nell’attuale sviluppo del sistema capitalistico, e sulla possibilità di porre la questione della giustizia sociale nella distribuzione – dall’accesso alla condivisione – della ricchezza prodotta dalla società.

(4, continua)

5. Il sistema digitale, una biologia simbiotica al silicio

Per Simone Arcagni, la metafora più appropriata per descrivere il sistema digitale è quella biologica della simbiosi.
Una metafora che ridefinisce i confini tra vita naturale e vita artificiale, tra sistemi biologici e sistemi al silicio.

Ma allora che esperienza è quella della nostra convivenza con la tecnologia dei sistemi visivi, non necessariamente ottici, che si basa sul digitale?

(5, continua)

6. Del digitale o della strana congruenza tra il pensiero e il mondo

Che cos’è il digitale? Nella apparente semplicità della risposta di Simone Arcagni, per cui il digitale è un modello di pensiero, la cui storia culturale è storia di lunga durata, si cela in realtà un problema: come è possibile che l’apparato di pensiero di cui disponiamo sia, nella sua formalità astratta, matematica di calcolo, un accesso alla realtà del mondo? E, anzi, come è possibile che esso permetta la prevedibilità del corso effettivo del mondo?

Sta di fatto che oggi viviamo in una società profondamente modellata dalla tecnologia digitale.

Cosa occorre per riuscire a possedere una comprensione dell’esperienza di noi stessi che sia più congruente alla realtà del mondo dentro cui viviamo? Di certo, per Simone Arcagni, questa comprensione dipenderà sempre di più dall’apprendimento del sistema sociale di comunicazione, e del linguaggio, che la tecnologia digitale ci metterà a disposizione.

(6, fine)

7. Appendice – La tecnologia dei media: il cinema, il libro e noi

«Il cinema è il cinema» (Jean-Luc Godard). Una dichiarazione che traccia una differenza specifica. È vero, il cinema e la vita, o il sogno, non sono la stessa cosa. E tuttavia, se ci interroghiamo sul rapporto che noi abbiamo con la tecnologia dei media, farne un oggetto di ricerca autonomo e indipendente non può bastare.

La tecnologia dei media — un film, un libro — siamo noi, dice Simone Arcagni.
In una prospettiva più ampia, è infatti impossibile non vedere come, nel trasformare la nostra convivenza, la tecnologia dei media trasforma noi stessi. Cosa che forse mostra, meglio di ogni altra, il processo evolutivo della vita di ognuno nella sua interdipendenza con quella degli altri.

(7, fine)