In arrivo / Cena Nº29 - Lunedì 22 Febbraio 2016

Il clubbing: spazi sonori di creatività culturale e innovazione sociale?

con Alessandro Gambo (Gambo), Dario Consoli, Francesca Arri, Marco Ganora (Grano), Matteo Brigatti (Gandalf), Tommaso Rinaldi (High Files)

Ricordatevi sempre che la musica è come la vita, la si può fare in solo un modo: insieme.
Ezio Bosso

La creatività musicale, e artistica in genere, può essere propulsiva di innovazione sociale, un motore di cambiamento della società?

Locali, festival, rave: un grande rito collettivo urbano si sviluppa a fine settimana, in tutto il mondo e ha in alcune città le sue capitali e i suoi centri nevralgici. A voler dare una definizione, sempre che abbia un senso, è la “club culture”, espressione di un movimento culturale collettivo capace di animare la vita notturna di un consistente pubblico giovanile (e non solo).

Torino, in questo senso, è una scena molto viva che si sviluppa su più fronti: appunto, festival, locali, organizzazioni, eventi, dj e veri e propri seguaci che partecipano attivamente a una cultura di movimenti, nata dalla ricerca estetica musicale, del suono.

Di che si tratta? Di nuovo flusso creativo e partecipato in grado di lasciare un segno reale nella società? O solo, il giorno dopo, un gran mal di testa? È una cultura generativa di nuovi significati, di nuovi codici comportamentali e di una rinnovata voglia di socialità?
Cosa succede? Cosa potrebbe ancora succedere?

Francesca Arri, artista visiva, performer, ci aiuterà a «performare» (orribile termine) l’incontro con Alessandro Gambo/Gambo, dj e organizzatore Varvara Festival, Dario Consoli, cofounder e project manager Smartrams, Marco Ganora/Grano, dj presso Outcast, Matteo Brigatti/Gandalf, dj e organizzatore presso Genau, Tommaso Rinaldi/High Files, Visual Artist presso Outcast e Genau.

1. Vibrazioni sonore e frequenze del cuore…

«Clubbing», o «club culture», è un processo sociale e culturale che attraversa quelle che potremmo definire le tecno–metamorfosi urbane del nostro tempo.

È un’architettura tecnologia dello spazio applicata alla musica, la musica techno, variamente declinata. È un’organizzazione sociale dello spazio, che solleva qualche domanda circa la «riconfigurazione delle soggettività» degli individui, e proprio perché investe i corpi nel loro esistere e comunicare, nel loro agire e immaginare, nel loro appagare i sensi e desiderare.

È uno spazio solo funzionale a ciò per cui è dedicato? O è anche una «ricerca di significato», capace cioè di esprimere un bisogno da condividere, un’energia da offrire, un’ospitalità nello stare insieme? È quindi uno spazio tecnologico dell’intrattenimento che facilita lo sviluppo della socialità?

Nota: Sulla tradizione dei rave party: https://it.wikipedia.org/wiki/Rave_party); sul «clubbing»:
https://en.wikipedia.org/wiki/Clubbing_(subculture)

2. Vibrazioni condivise

Entrare in un club non è solo rumore e sballo. Neppure una risposta di rabbia, di rassegnazione o di speranza, e neppure di ribellione – come per la musica che va dal blues al punk, e attraversa il rock. A dircelo sono i dj Gandalf, Gambo, Grano, High Files.
Solo, allora, “pressione sonora”, vibrazione a ritmo cardiaco? È questo la musica underground elettronica?

Lo «sfogo» fisico in cui si esprime è qualcosa di più di questo soltanto. Si presenta come un corpo e, insieme, un corpo incarnato, è un corpo sociale. Nella costruzione di spazi condivisi, ciò che si sperimenta è una «riconfigurazione» della soggettività, nella perdita di sé, della propria soggettività, che si fa esperienza collettiva, un entrare in risonanza, in armonia con tutti gli altri.
Dove sta allora il suo messaggio di liberazione?
Dov’è la sua forza di trasgressione? In che consiste la sua pratica di autonomia e di libertà, sottratta alla normalità della vita quotidiana?

Forse è possibile tentare un’ipotesi. Là dove mette in gioco la consolidata opposizione-separazione concettuale tra artificiale e naturale, tra cultura e natura. Lo sforzo di danzare – un’eredità arcaica tribale – è il desiderio stesso come «sentire del corpo», il suo perseverare al di là di ciò che ne ostacola l’espressione.

(2, continua)

3. Spazi sonori di liberazione?

«La natura non costruisce macchine», e neppure consolle elettroniche per un dj set. «Questi sono prodotti dell’industria umana […] Sono organi dell’intelligenza umana creati dalla mano umana; potenza materializzata del sapere» (da Karl Marx, Il frammento sulle macchine).

Ad ascoltare le voci della cultura del clubbing, è questa «potenza di agire» del corpo ciò che viene in mente. E, ad ascoltare bene, gli «spazi sonori» di socialità, che la potenza del suono organizza, si trasformano in organi di una pratica sociale, di un processo vitale, e di una volontà umana di liberazione:

«Spazi in cui l’uomo può abbandonarsi o ritrovarsi» (Alessandro Gambo)
«L’obiettivo è di creare tante individualità che vivono bene all’interno di una situazione sociale» (Tommaso Rinaldi)
«Luogo di libertà estrema… di enorme socialità» (Matteo Brigatti)
«I gatti non ballano» (Marco Ganora)

Questa libertà di muoversi, e di muoversi con altri, questa potenza di agire, questo sentimento (musicale) del corpo è ciò che noi siamo, ciò che definisce la natura umana?

(3, continua)

4. Il club, una pratica dell’esodo

Che contenitore di progettualità e innovazione è, infine, il club?
Parte di un processo di «rigenerazione urbana» (di spazi dismessi, come ex-fabbriche), catalizza nuove energie di sviluppo locale del territorio, di valore economico e sociale; e, al tempo stesso, affonda le sue radici nella forma arcaica di un rito collettivo.

Lì dentro, il corpo si fa iperattivo, danza e si agita, sotto l’effetto del suono elettronico della musica. È l’esperienza dell’enthousiasmòs dei misteri dionisiaci, l’esperienza della «trance». Ma di più ancora, questo è ciò che vuole essere nella sua proposta culturale, ed esserlo in tutta l’estensione del significato del termine trance, derivato dal latino, e cioè un transitus: un rito di passaggio, di iniziazione, e insieme una pratica sociale dell’«esodo».

E non solo «dentro» – uno spazio di esperienza segnata da un’alterazione dello stato di coscienza, da un elevato grado di esaltazione psichica e di grande vigore fisico – ma anche «fuori».

Quell’esaltazione, quella mania, «che nasce da un mutamento divino delle consuete abitudini» (Platone), vuole essere una pratica sociale, né di resa né di contrapposizione, ma una pratica di sottrazione, di fuga, di scarto verso spazi altri. E, seppure condivisa, viversi più come espressione individuale che collettiva.

Cosa reclama questa voglia di liberazione? Qualcosa che ha a che fare con il desiderio e il godimento, e con la tensione tra questi due condizioni dell’esperienza.

(4, fine)

5. Postilla – Parliamo di clubbing…

Sì, e con passione, abbiamo parlato di clubbing.
O, almeno, ci abbiamo provato. Grazie a tutti.

(5, fine)